Vincenzo Amendola, è già cominciato il “tiro al segretario”?

Mi pare una esagerazione, anzi il Pd dopo la sconfitta alle politiche e alle regionali ha bisogno di ricostruire una forza, un’identità e un programma. La segretaria ha suscitato entusiasmo che però va concretizzato con idee e contenuti. Non basta elencare i giusti “no” agli atti della maggioranza, ma anche indicare una concreta alternativa progressista all’Italia.

Quindi non rischiate di bruciare un altro segretario a breve?

Per esperienza e per allergia alle correnti dubito che sia questo il sentimento nel partito. E non mi appassiona il finto dibattito tra chi chiede di cambiare tutto rispetto al passato e chi è malato di “governismo”. Parlo per me: nel periodo di Nicola Zingaretti, con Gentiloni, con Sassoli e Gualtieri, abbiamo realizzato il Pnrr, quindi insieme alle autocritiche dobbiamo anche essere orgogliosi di quello che abbiamo fatto.

C’è una lezione da trarre dalle amministrative, dal voto spagnolo in generale da quello che sta succedendo in Europa? Molte voci riformiste, a partire da quella di Pierluigi Castagnetti, sostengono che si vince al centro.

La stagione aperta dalla guerra in Ucraina ha avuto in molti paesi un effetto che non si può sottovalutare. Non lo dico per censurare la nostra posizione a favore di Kiev, ma nei flussi elettorali la guerra ha fatto emergere anche il bisogno di protezione e di sicurezza. La sinistra deve continuare nel suo solco: l’europeismo. La prospettiva progressista non può essere timida o intimorita, ma deve ancorarsi sempre a quell’idea di fondo, l’unica che ci ha portato sempre alle vittorie in Italia e in Europa.

Che è la via della sinistra riformista?

Che è quello di un’Europa solidale, il sogno di Sassoli: integrazione, scelte solidali, regole nuove che producono protezione sociale e diritti. Perché le sfide che abbiamo oggi, per esempio sul Pnrr, impongono sempre alla sinistra di trasformare l’esistente, l’opposto di quanto chiede la destra neocorporativa. Non dobbiamo mai disperdere questo nostro tratto identitario.

L’indicazione di voto della segretaria contro l’utilizzo dei fondi Pnrr anche per l’acquisto di armi e le parole del nuovo vicecapogruppo alla Camera Paolo Ciani, che ha detto «sulle armi si può cambiare» creano ambiguità sulla linea del Pd riguardo agli aiuti militari all’Ucraina?

Penso che dobbiamo usare bene le parole e mantenere la stessa posizione assunta sin dall’inizio. Cessate il fuoco e negoziato non indeboliscono il nostro sostegno all’Ucraina, ma sono politica. È solo la politica ad avere più strumenti e possibilità della guerra. Questo non è in contraddizione con il sostegno alla resistenza ucraina in tutti i campi.

Quindi il vostro sostegno all’invio di ulteriori aiuti militari non è in dubbio.

Personalmente non ho dubbi. Ma come hanno tentato di fare Macron, da ultimo Zuppi, e all’epoca anche Draghi, non bisogna mai cedere all’idea che l’uso delle armi sia più intelligente di un processo politico. La vera tragedia putiniana.

Dopo essere stato rimosso dall’incarico di vicecapogruppo, Piero De Luca ha promesso “resistenza democratica”. I riformisti faranno resistenza democratica alla segretaria?

No, io avverto che sia stata una scelta, quella di confermare tutto l’ufficio di presidenza tranne De Luca, ad personam. Il Pd è un partito che deve unire, e non fondarsi su fratture interne. Un campo democratico largo fatto di pluralità e differenze deve preservare, anche in un dibattito aspro, tutte le persone. Invece, per come è apparsa all’esterno questa scelta, credo sia stato più un danno, non solo per De Luca, ma anche per il dibattito che ne è seguito.

Lei durante la segreteria Bersani è stato segretario regionale in Campania inviato dal Nazareno. Ci sono parallelismi tra il suo incarico dell’epoca e quello di Schlein?

Sono certo che la segretaria vuole rafforzare molto il radicamento territoriale, che è uno dei campi su cui il Pd da tempo sconta delle difficoltà. Il radicamento territoriale non è burocrazia organizzativa, ma è la capacità di creare, nel mondo digitale di oggi, una presenza fisica che sia anche rappresentanza.

I rapporti col territorio vanno migliorati sostituendo chi li teneva prima?

Non credo ai ripulisti e credo che sia una logica settaria pensare che, eliminato qualcuno, hai risolto i problemi.

La segreteria sta discutendo di una cabina di regia sulla compilazione delle liste per le europee e una mobilitazione sul territorio. Sono iniziative che vanno nella giusta direzione?

Nei prossimi mesi ci sarà un incrocio di molte elezioni regionali, comunali e forse anche provinciali. Bisogna impegnarsi da subito per rafforzare il Pd, ma soprattutto per dare il segnale che è uscito anche dalle scorse amministrative, che abbiamo bisogno di un’alleanza dei progressisti e dei riformisti.

Le alleanze però restano un tasto dolente. Cosa si può fare per sbloccare questa questione?

Bisogna partire dalle questioni concrete, come sanità, servizi pubblici essenziali, scuola, fragilità del territorio. Il Pnrr è l’obiettivo su cui anche l’opposizione può ritornare a condividere delle sfide.

Giovedì si sono visti Meloni e il cancelliere tedesco Scholz. La cooperazione che si sono promessi sullo sfondo dell’accordo europeo sull’immigrazione è un risultato positivo?

Meloni ha in testa un’alleanza di centrodestra anche alle prossime elezioni europee, magari con un candidato italiano come prossimo presidente della commissione, un calcolo che al momento non ha i numeri. Per questo penso che il Pse debba presentarsi a quell’appuntamento con un’idea di liste e ambizione più larga.