Fitting In: Fluid Identity in a World of Multitude
1 Dicembre 2022Il mondo esplosivo degli oggetti
1 Dicembre 2022Nel primo volume della sua storia della filosofia il grande intellettuale ci ricorda che il pensiero critico nasce da lontano: dal mito e dal sacro
Ora che escono tradotte le prime 500 pagine di quest’opera (il secondo volume tra qualche mese) diventa finalmente accessibile ai lettori italiani l’ultimo grande lavoro di Jürgen Habermas, 93 anni, una fatica di dieci anni, e una chiave per capire la svolta “post-secolare” in tutta la sua estensione. Una svolta che si era annunciata quasi venti anni fa, all’epoca del dialogo con il cardinale Ratzinger su fede e ragione, ma che ancora si dispiega in una compiuta visione del cammino del pensiero umano, con l’obiettivo della «autocomprensione normativa della modernità», e cioè, fuori dal gergo filosofico, delle radici di quella pianta che ha prodotto i «progressi morali» dell’umanità.
Un concetto che possiamo ben descrivere con una lista di dotazioni del nostro mondo: la fine della schiavitù e del colonialismo, la condanna della tortura, la tolleranza religiosa, le pari opportunità tra i sessi, la libertà sessuale, la sicurezza sociale, in una parola la dichiarazione universale dei diritti. Tutte cose, realtà e fini, che non sono cresciute in natura, non sono spiegabili in termini funzionalistici o di pura efficienza economica, ma che sono state perseguite sulla base di una giustificazione morale.
Il libro, a cura di Luca Corchia e Walter Privitera, si intitola Una storia della filosofia. Volume I. Per una genealogia del pensiero postmetafisico .
Il titolo originale tedesco, che echeggiava un saggio di Herder, suona “Anche una storia della filosofia”, preparando così enigmaticamente il lettore a un contenuto più vasto.
L’idea che il ritorno della religione sulla scena pubblica non andasse respinto come un indebito arretramento o una minaccia per gli ordinamenti secolari, ma ascoltato e interpretato nell’ipotesi che potesse contenere risorse, depositi di significati utilizzabili per una politica «deragliata» e senza propulsione ideale, si sviluppa in questo volume come una vasta ricerca storica sulla stessa genesi del pensiero filosofico, nel suo distacco, ma anche nella sua origine dal mito e dalla religione.
Gli ordinamenti secolari della modernità, con gli sviluppi della scienza e della tecnica, si liberano dalle tutele della tradizione e delle chiese, favoriscono l’individualismo, contrastano ogni forma di tirannia etica e si trovano ad affrontare una crisi nella comprensione dei propri fondamenti. Al principio del XX secolo ci furono diversi tentativi di trovare la via d’uscita dal rischio di anarchia, che fa seguito alla «morte di Dio». E Habermas allinea con eleganza quattro fallimenti: quelli di Schmitt, Strauss, Löwith e Heidegger, cui tuttavia riconosce di aver contribuito a trovare indizi importanti della possibile soluzione del problema. Il fatto è che, di fronte alla ricerca del filo di Arianna che ci conduca alle preziose fonti della coesione, della solidarietà e anche del diritto, «la modernità non sa che pesci pigliare». Lo diceva Löwith, che però trovava nelle filosofie della storia, da Vico a Voltaire, fino a Hegel e Marx, le tracce nascoste di una storia della salvezza, vestita con abiti secolari. Ritroviamo infatti l’ eschaton , la fine e il fine di tutto, in quella specie di giudizio universale, che è la rivoluzione proletaria marxiana, e molto manicheismo, il conflitto tra il Bene e il Male, anche nella lotta di classe. Anche Schmitt riconosce che tutti i concetti più pregnanti della dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati.
Indizi di un percorso filosofico che ora Habermas vuole compiutamente definire come quello che può portarci alle fonti dei nostri migliori ordinamenti e che dovremmo cercare di preservare e rimettere in luce al presente. In altre parole se scopriamo le forze che hanno prodotto questi progressi morali fin dall’epoca neolitica, dai primi passi di homo sapiens fino a noi, allora possiamo ragionevolmente cercare di continuare a trarne giovamento.
Se la ritualità e il mito accompagnano la nascita del linguaggio e sostengono la coesione delle comunità umane, con l’«epoca assiale» avviene un «salto cognitivo», uno «sfondamento» del tessuto magico delle più antiche forme di religiosità e (tra l’VIII e il III secolo a.C.) si affermano etiche cosmologiche. Con ebraismo, confucianesimo, buddismo il sacro si moralizza, si afferma una trascendenza che dà forza ai comandamenti morali.
Contemporaneamente la filosofia greca porta con mezzi diversi a un risultato analogo, consente di progettare alternative, apre porte e finestre a una visione del mondo aperta alla critica. Il Cristianesimo, che arriva qualche secolo dopo, sarà profondamente influenzato dall’eredità greca e in particolare dal neoplatonismo, dal bagaglio alessandrino del terzo secolo d.C., Plotino, Clemente, Origene, e più tardi Agostino. L’influenza di un nucleo morale e razionale che si traduce in diritto e istituzioni si accentuerà con la Riforma luterana. La filosofia migliorerà la propria autocomprensione se saprà mettere in luce questo debito, senza rinunciare alla propria autonomia, senza rinunciare in sostanza a un ateismo metodologico, etsi deus non daretur , ma mantenendosi capace di comprendere quel che ha imparato dalla religione nel corso della sua storia, rifiutando cioè un secolarismo che si preclude polemicamente questa possibilità.
C’è qui un bivio, uno spartiacque decisivo nella storia del pensiero occidentale, quello tra Hume e Kant (e dietro il primo Hobbes e dietro il secondo Spinoza). Per il primo la filosofia deve interamente liberarsi dell’eredità religiosa come un fardello, il secondo vi riconosce invece l’origine della filosofia e ne preserva il potenziale normativo.
Ora che l’umanità «sembra rimanere impigliata» nella complessità degli effetti collaterali incontrollati della dinamica tecnologica ed economica, come se questi si autogenerassero senza limiti, Habermas, in questa appassionante lettura, suggerisce alla filosofia di tornare a riflettere sul contesto della propria nascita, l’epoca assiale, e di riaccendere quello sguardo critico verso il presente cui Socrate aveva dato inizio, ma con lui anche Siddharta e Confucio, senza dimenticare il Dio del Sinai.