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Il 7 maggio si aprirà il Conclave più numeroso della storia moderna: 135 cardinali elettori da 71 Paesi, 133 effettivi. Superata la soglia storica dei 120, la deroga è stata ammessa in base alla Costituzione Universi Dominici Gregis. Serviranno 89 voti per eleggere il nuovo Papa.
Il Collegio riflette i cambiamenti promossi da papa Francesco. L’Europa, pur con 53 elettori, è in calo. Crescono Asia e Oceania (27), Africa (18) e America Latina. Entrano per la prima volta Paesi come Haiti, Myanmar, Ruanda. La Chiesa si fa più globale, meno eurocentrica.
Anche il profilo degli elettori è mutato: 109 sono vescovi in diocesi, solo 27 in Curia. I religiosi sono 33, con un’età media di 72 anni. La maggioranza – 108 – è stata nominata da Francesco, e altrettanti non hanno mai partecipato a un Conclave. Il quadro è fluido, senza schieramenti netti. Molti cardinali non si conoscono e attendono le prime votazioni per orientarsi. Saranno loro a fare la differenza.
Oggi la frattura non è più tra progressisti e conservatori, ma tra chi cerca un pastore e chi un uomo di governo. Il nome più accreditato è quello di Pietro Parolin, Segretario di Stato, ma potrebbe emergere una candidatura alternativa, come avvenne con Bergoglio nel 2013.
Nel frattempo, il fronte conservatore – con Ruini e Bagnasco – chiede di tornare alla dottrina e a una guida più identitaria. Si discute anche di finanze vaticane: il cardinale Marx ha richiamato l’esigenza di trasparenza e sostenibilità, mentre i dipendenti denunciano stipendi fermi da anni.
Il Conclave si apre in un clima di incertezza. Nessun candidato è dominante, pochi hanno già scelto. Tutto può ancora cambiare. Come sempre, sarà decisivo il confronto interno, ma anche – come si dice in Vaticano – il soffio dello Spirito Santo.