
Silent Spring—I
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L’accordo siglato in Scozia tra Unione Europea e Stati Uniti chiude una lunga fase di tensione commerciale, ma impone un prezzo alto, soprattutto per l’Europa. I dazi sulle esportazioni europee verso gli USA salgono dal 4,8% al 15%, una vera “supertassa” che colpirà 530 miliardi di export Ue, di cui 65 miliardi italiani. In cambio, Bruxelles si impegna ad acquistare gas liquido per 750 miliardi di dollari, investire 600 miliardi negli USA e comprare grandi quantità di armamenti americani.
È un’intesa politica più che economica: l’Europa ha evitato un’escalation che, dal 1° agosto, avrebbe visto Trump portare i dazi al 30%, con un rischio concreto di crisi finanziaria. Von der Leyen ha preferito “patteggiare” una sconfitta gestibile piuttosto che affrontare una disfatta. Ma il conto è salato e riflette una trattativa sbilanciata, in cui le richieste americane sono cresciute costantemente, mentre lo spazio negoziale europeo si restringeva.
Per l’Italia, l’impatto stimato è di almeno 23 miliardi di euro. A soffrire saranno settori chiave come agroalimentare, meccanica, moda, acciaio. Le piccole imprese, meno attrezzate, rischiano di più. La premier Meloni ha espresso cauta soddisfazione, chiedendo però indennizzi europei e preannunciando una “seconda fase” per ampliare le esenzioni doganali. Il piano anti-dazi da 25 miliardi potrebbe essere rispolverato. L’obiettivo è salvaguardare le eccellenze del Made in Italy e limitare gli effetti sull’occupazione.
L’accordo ha evitato lo scontro, ma resta asimmetrico. Trump ha portato a casa quasi tutto: più accesso ai mercati Ue, più vendite energetiche, più investimenti stranieri. Per Washington è un successo geopolitico, oltre che economico. Per l’Europa, invece, un compromesso dettato dalla paura dello scontro. L’UE non ha reagito con strumenti di pressione (come l’Aci), né ha negoziato da posizione di forza. Ha scelto la stabilità, ma al prezzo di un’autonomia indebolita.
L’Italia è rimasta allineata alla linea europea, senza però incidere né ottenere vantaggi specifici. Il rischio, ora, è che si incolpi Bruxelles per i danni, ignorando le responsabilità nazionali e le debolezze strutturali, come salari bassi e carenze di politica industriale.
La lezione è chiara: la globalizzazione sta cambiando, le barriere crescono, la concorrenza si fa più politica. L’Europa deve rafforzare la propria autonomia strategica, a partire da una vera difesa comune, accordi commerciali diversificati e nuove politiche per rendere il proprio mercato interno più forte e resiliente. Perché in questo scenario, chi non reagisce, subisce.