Esce in una nuova edizione “ Il giro di vite”, il capolavoro della suspense realizzato dall’autore dopo un fiasco teatrale
diNadia Fusini
Henry James chiama i suoi racconti tales: non stories, tales
– termine inglese quanto mai ricco e complesso e inclusivo con cui, a seconda dei casi, potremo di volta in volta nominare un romanzo breve, un racconto lungo, o più genericamente una storia, una novella, una favola. Più volte nel corso della sua onorata carriera, James rivela una vera e propria passione per tale forma concentrata, drammatica. Da raffinato equilibrista qual è, lo scrittore americano ama le costrizioni, che tale forma impone. Si eccita nel calcolo esatto dei tempi, gode nell’esercizio vigile dell’economia della descrizione, perché in un racconto che si rispetti non c’è tempo da perdere nei dettagli, si dovrà puntare a quelli strettamente necessari. Si dovrà dimostrare una capacità di sintesi perfetta nell’intreccio, e un governo esatto della costruzione della fabula. Nel caso poi di un racconto come Giro di vite, che compare a puntate sul Collier’s
dal gennaio all’aprile 1898, l’eccitazione vieppiù si accende in rapporto alla sfida che all’esercizio artistico impone la sua pubblicazione a episodi.
Non v’è alcun dubbio, e lo dico a onore dello scrittore, che il nostro James, pur raffinato mandarino qual è, si applichi con buone intenzioni, e sobria e commerciale disposizione, all’impresa. Tra l’altro, quando si mette a scrivere, s’è da poco ripreso da un’avventura catastrofica, quella del suo fiasco “ teatrale”. Perché il povero James, che aveva nutrito l’illusione di scrivere per il teatro, alla performance del suoGuy Domville s’era appena beccato i fischi e gli insulti del pubblico. Era salito sul palco per fare l’inchino (è un gentiluomo educato, il nostro americano), e gli spettatori infuriati, novelle Menadi, per poco non lo sbranavano. Il trauma è grande per il cortese, timido James. Il quale subito dopo va a consolarsi dall’amico E. W. Benson, arcivescovo di Canterbury. Lo raggiunge nella sua residenza di campagna di Addington Park, ed è lì che magicamente dalle labbra dell’illustre prelato, accoglie il dono della storia che poi, nel grembo della sua immaginazione, svilupperà nel racconto, che ora rileggiamo nella Piccola Biblioteca del Fantastico, nella traduzione di Paola Artioli, accompagnata dalla presentazione dell’americanista Carlo Pagetti. Il quale con consumata perizia ci introduce ai vari temi ed aspetti che accompagnano la creazione di un racconto, che è e rimarrà tra i più straordinari dello scrittore. Non anticipo, né riassumo, onde non rovinare l’effetto per il lettore che già non lo conosca. Invito semmai il lettore a tenere conto del malessere esistenziale che in questo testo breve e complesso il nostro James rivela. Protagonisti del racconto sono un bambino e una bambina, serafici orfanelli, che un zio premuroso, ma in altre faccende affaccendato, affida a una giovane e inesperta istitutrice, allontanandoli da sé in una casa di campagna nell’Essex, a Bly. Che guarda caso rima con Rye, dove lo scrittore ha appena comprato una casa. E anche con blight, come ci fa notare Pagetti, ovvero con il sospetto di un influsso maligno, di qualche presenza diabolica all’opera… Perché in effetti a Bly accadono cose strane tra le angeliche creature e la devota istitutrice… E il lettore che pensava di intrattenersi su temi e questioni proprii al racconto realista, che ormai per tradizione da anni e anni punta su trame e intrecci della vita ordinaria, si trova esposto a effetti tipici del romance.E cioè, coinvolto in storie improbabili, alla mercé di personaggi loschi, addirittura a dei fantasmi! Che un racconto di James, supremo conoscitore dell’arte moderna della fiction, prendesse questa piega, chi se l’aspettava! Eppure, è proprio questa la strada che James sceglie: vuole scrivere una storia che fa paura. E dopo aver costruito una elaborata cornice, passo dopo passo ci espone all’angoscia. Ma dove siamo? Ma che succede? Ci sono dei bambini in pericolo? E se l’istitutrice fosse un vampiro? E se la bambina Flora fosse una bugiarda? E il bambino Miles non un angelo, ma una creatura corrotta? Non a caso è stato cacciato dal college… E tutti e due posseduti? Indemoniati? O forse no, forse intonandosi ai tempi moderni, il lettore preferirà pensare che l’istitutrice è un’isterica, e i bambini sono stati abusati… Chissà! Al lettore spetta il finale giro di vite dell’interpretazione.