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2 Novembre 2023Donne di pace
2 Novembre 2023il valico di rafah
Passano in Egitto stranieri, cittadini con doppia nazionalità e 76 palestinesi bisognosi di cure. La mediazione di Usa e Qatar. Le Nazioni Unite sull’attacco a Jabalia: sproporzionato, possibile crimine di guerra. Ieri un nuovo raid sul campo profughi
di Andrea Nicastro
Beirut Finalmente qualcuno può uscire dalla Striscia di Gaza. Non uno, due persone alla volta, ma a centinaia. Ieri dal valico di Rafah si sono messi in salvo entrando in Egitto 335 «stranieri» e 76 palestinesi feriti. Tra loro anche quattro italiani e l’intero staff internazionale di Medici senza Frontiere: 22 persone. Potevano essere di più, ma le comunicazioni a Gaza sono difficili. Si manda un WhatsApp e non compare la doppia spunta per giorni. Anche spostarsi è un problema, bombardamenti a parte manca benzina. C’erano 491 «stranieri» nella lista autorizzata da tutte le parti, ma alcuni non sono riusciti ad arrivare a Rafah, altri non sono stati avvisati, altri ancora si sono rifiutati di lasciare i parenti che non avevano avuto il via libera. Ci sarebbero da 5 a 7mila «stranieri» a Gaza. Quattrocento hanno passaporto americano e con i loro familiari già autorizzati ad accompagnarli arrivano a mille. Il Cairo calcola che ci vorranno due settimane per evacuarli tutti. Poi? Qualcun altro potrà uscire? Al momento sembra di no. I civili palestinesi devono rimanere in trappola.
Condizioni criticheTra i feriti portati ieri in Egitto moltissimi erano bambini. La tv Al Jazeera ne ha seguiti alcuni dagli ospedali palestinesi ancora funzionanti sino al valico di Rafah. Terribili le loro storie. Salem Sammour, 7 anni, ha 81 schegge di bomba in corpo. A Gaza mancano antidolorifici e antibiotici: il bimbo soffre ad ogni respiro. Se operato potrà salvarsi. Aseel Al-Astal, 10 anni, ha un piede spappolato: a Gaza non sarebbe stata operabile e invece potrebbe riprendere a camminare. Tutti hanno perso dei parenti nei bombardamenti e soffrono da giorni o settimane per la mancanza di cure. L’Egitto ha messo a disposizione dei feriti i suoi ospedali in Sinai e la Turchia si è offerta di montare un ospedale da campo. Dai Paesi Occidentali nessuna offerta d’aiuto, per il momento.
Philippe Lazzarini, commissario dell’agenzia Onu che si occupa dei palestinesi (Unrwa) è andato a incontrare i fuggiaschi: «Sono rimasto scioccato dal fatto che tutti chiedessero cibo, chiedessero acqua. Non ho mai visto nulla di simile», ha detto. L’assedio israeliano ha tolto a Gaza il carburante. La benzina serve a cuocere il pane, estrarre o desalinizzare l’acqua. Senza ci sono solo fame e sete.
La trattativaIl piccolo successo umanitario di ieri è frutto di una trattativa diplomatica di quasi un mese. Qualche elemento dell’accordo è evidente, altri resteranno segreti. Sappiamo che la pressione Usa è stata determinante, ma senza la mediazione del Qatar (finanziatore di Hamas) non ce l’avrebbe fatta. Sappiamo anche che l’Egitto ha accettato di accantonare la sua (ragionevole) fobia: teme che dal pertugio umanitario aperto ieri possano tentare di passare due milioni di palestinesi che, affamati e disperati, sfonderebbero ogni barriera dilagando in Egitto. Sappiamo poi che Israele ha ammorbidito il suo «assedio totale» dentro al quale ha chiuso Gaza, in uscita per i palestinesi con doppia cittadinanza e dei feriti e in entrata per i camion di aiuti. Sappiamo, infine, che Hamas ha accettato di privarsi di scudi umani e testimoni ideali. «Stranieri» con contatti all’estero e padronanza delle lingue sono i migliori portavoce della sofferenza della Striscia. Come in ogni buon accordo, quindi, tutti hanno rinunciato a qualcosa e oltre 400 persone sono passate da Rafah per mettersi in salvo.
BombardamentiNelle stesse ore in cui si sfilavano gli stranieri, un’altra esplosione scuoteva il campo profughi di Jabalia, a nord della città di Gaza. Il campo era già stato sventrato martedì da una bomba che aveva fatto un cratere di 15 metri. Israele giustifica i bombardamenti di aree urbane densamente popolate con l’eliminazione di capi di Hamas. Sia martedì sia ieri, ha sostenuto di aver ucciso leader militari nemici, mentre Hamas ha parlato di 50 vittime civili e 150 feriti, negando ogni sua perdita diretta. Ieri il balletto si è ripetuto: incerto il bilancio del nuovo bombardamento.
Nel mentre l’ufficio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite proprio a proposito delle bombe su Jabalia si è detto «seriamente preoccupato che questi attacchi sproporzionati possano rientrare nella definizione di crimini di guerra». Amnesty International denuncia anche l’uso di armi chimiche (fosforo bianco).
Secondo il ministero della Sanità di Hamas le vittime palestinesi ieri erano arrivate a 8.805. Incandescente la situazione anche in Cisgiordania dove dal 7 ottobre raid di esercito e coloni israeliani hanno ucciso 130 palestinesi.