Dio è morto e io sto bene
Luc Dardenne lascia temporaneamente la macchina da presa per riflettere sulla vita. Tra Pascal, Freud e Lévinas di Alberto Anile
In un piccolo testo introduttivo, Luc Dardenne spiega che L’affare umano è nato da un grumo di appunti in vista di quello che sarebbe diventatoIl ragazzo con la bicicletta,
ottavo lungometraggio scritto e diretto col fratello Jean-Pierre, pensieri poi riordinati in un vero e proprio “trattatello” filosofico. Il diminutivo si riferisce alle dimensioni (il libro, edito per la prima volta in Italia da Meltemi, consta di 150 pagine di piccolo formato) non certo all’argomento.
Proviamo a riassumere. Luc Dardenne parte dalla “morte di Dio” proclamata da Nietzsche, in seguito alla quale l’uomo è costretto a ripartire da sé stesso, a cercare nuovi valori. Senza l’appiglio della religione, la prima conseguenza della morte di Dio è la percezione della nostra mortalità: « Per l’essere umano nascere vuol dire morire, ossia vivere la paura di morire», scrive Dardenne, e viene in mente il geniale titolo di un film di Zanussi, La vita come malattia fatale sessualmente trasmessa. L’animale non è consapevole della vita e perciò neanche della morte, e così anche il bambino; ed entrambi possono essere invidiati per questo dall’uomo adulto. La vita e la morte sono quindi legate strettamente, per sbarazzarsi della seconda occorrerebbe paradossalmente eliminare anche l’altra; abolire il tempo, restando bloccati come Paul Newman e Robert Redford nel fermo immagine che chiude Butch Cassidy, oppure procedere all’indietro, come l’astronauta che nel finale di2001 Odissea nello spazioridiventava un feto. I riferimenti filmici sono nostri; malgrado sia scritto da un regista, ne L’affare umano non si parla mai di cinema, non viene citata neanche una pellicola. E questo è forse anche un giudizio di merito.
Dardenne prosegue il ragionamento cercando una via d’uscita a quella che, altrimenti, sarebbe una vita vissuta solo nell’angoscia dell’annientamento. E la trova nella vicinanza al prossimo: «Stare assieme è il modo umano di sfuggire alla paura di morire, di lenire la nostra sofferenza di essere separati, di dialogare tra di noi per costruire una democrazia, l’unica istituzione di vita comune che non sia fondata sulla paura di morire». Ci arriva guardando l’esempio della madre, fonte di amore per il proprio figlio, acqua a ristorare una sete di vicinanza che è anche desiderio di tornare in lei, di ricostituire l’indiviso: consolando di quellacondanna a morte che è la nascita, la madre apre un altro essere alla gioia dell’esistenza. È perciò nella compassione, nella solidarietà, nel darsi l’un l’altro che Dardenne trova la possibile fuga dalla paura della morte. E correre in soccorso di chi chiede aiuto è anche correre in soccorso di sé stessi.
«Dimenticare sé stesso in favore di un altro», scrive, «dare priorità all’altro nella gioia, poiché l’apertura alla relazione con l’altro, che è possibile unicamente se la paura di morire è placata, è anche un modo di calmare la propria paura di morire, per l’adulto, di vivere nell’ignoranza relativa di essa».
La profondità, e quindi l’utilità, di questo breve libro di riflessioni, è evidente. Ed è ammirevole che un regista, che con il fratello ha vinto due volte la Palma d’Oro a Cannes, dedichi tempo e intelligenza a pensieri alti e altissimi. Si citano Freud e Canetti, Boezio e Pascal, e soprattutto l’amato Emmanuel Lévinas ( 1906- 95), il filosofo lituano naturalizzato francese che ha posto l’etica e la prossimità al centro dell’ontologia. Ma appunto, al contrario che nei diari raccolti in Addosso alle immagini ( in Italia dal Saggiatore), i capitoletti numerati de L’affare umano non fanno mai riferimento al mestiere dell’autore; e sì che avrebbe potuto essere utile declinare il discorso attraverso scene diRosetta e L’enfant.
Secondo Paolo Stellino, che firma una bella introduzione al volume, non deve sviare il fatto che Luc Dardenne dedichi solo l’ultimo breve capitolo all’arte (e quindi al cinema), che «esprime la sofferenza umana» e che, «al contempo, esprime l’uscita da essa, la gioia di esistere»: si tratta di un pagina conclusiva, di una collocazione strategica. In questa scelta pare però di leggere una sfiducia nel proprio lavoro, meglio: la consapevolezza che la fabbrica delle immagini non possa sostituire l’etica in senso più ampio. In altra parte del saggio, l’autore scrive che «l’immaginazione è figlia della paura di morire», che è stata fabbricata «la bolla immaginaria delle religioni» perché «la paura mette le ali»; che il Diciannovesimo secolo, in cui è nato anche il cinema, «è stato una gigantesca fabbrica di travaglio quotidiano» in cui sono state forgiate «delle consolazioni sostitutive per lenire il dolore» della morte di Dio. Sembra l’ammissione che occuparsi di sceneggiature, di set, di film – anche di bei film – non possa e non debba essere un alibi rispetto alle altre responsabilità dell’essere uomini.
Luc Dardenne
L’affare umano
Meltemi Traduzione Paolo Stellino pagg. 160 euro 14Voto 7/10
KSullo schermoUna scena del filmIl ragazzo con la bicicletta
(2011), scritto e diretto da Jean-Pierre e Luc Dardenne, con Cecile De France e Thomas Doret Ha vinto il Grand Prix Speciale della Giuria al festival di Cannes nel 2011
ANSA