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30 Ottobre 2022“Ma la protesta resti in piazza”
30 Ottobre 2022di Dario Giugliano
Da qualche decennio in qua, unicamente monitorando la quantità di pubblicazioni sull’argomento, è facile registrare il dato per cui Pier Paolo Pasolini si conferma uno degli autori italiani maggiormente studiati all’estero, in particolare in ambito culturale anglofono. I campi di ricerca vanno dai film studies agli studi letterari, di genere, postcoloniali, alla queer theory, e finiscono per avere una inevitabile ricaduta verso l’interesse, contribuendo ad accrescerlo, che in anni recenti la cosiddetta Italian theory ha riscosso all’interno delle humanities, muovendosi su un territorio di confine tra gli studi di teoria politica e quelli di teoria letteraria, sovente tra loro intrecciati.
Il carattere di questo favore, come dicevamo, non è mai (non è mai stato, anche e soprattutto Pasolini vivente) quello di rispecchiarsi in un successo di massa, restando piuttosto circoscritto a un certo ambito accademico e di nicchia. Ma vorremmo rimarcare qui anche un’altra evidenza. Nonostante o, meglio, a dispetto di questo successo, l’opera di Pasolini (che, più che mai, non è assolutamente separabile dal suo autore) continua a mostrare ostinatamente una forma di resistenza, tale da risultare, in ultima istanza, non solo refrattaria a ogni classificazione rigida, ma, e anche alla luce di questa stessa refrattarietà, a ostentare un proprio carattere provocatoriamente ossimorico, contraddittorio.
È stato appena pubblicato e presentato, dal suo autore e da Giovanbattista Tusa, il 29 ottobre, nel corso del Festival di Mimesis a Udine, un libro di Giacomo Marramao su Pasolini (Pasolini inattuale. Corpo, potere, tempo, Mimesis). Il merito di questa riflessione consiste proprio nel far emergere tutta la problematicità o, meglio, l’ambiguità della posizione pasoliniana rispetto a quelle determinazioni di fondo che caratterizzano la modernità avanzata e, più nello specifico, verso le due modalità di temporalità che hanno costituito la struttura di quella parte del pianeta che per secoli e fino a oggi è stata egemone: «L’arcaicità del tempo pagano e la modernità del tempo cristiano».
Pur partendo l’analisi da «un angolo visuale limitato», ossia da un punto di vista interpretativo deciso e dichiarato, in poche pagine l’autore è riuscito ad andare al cuore di alcune questioni che si rivelano essenziali per un approccio all’opera, ma forse sarebbe meglio dire all’universo pasoliniano, data la multiformità onnivora di interessi che Pasolini nutriva nell’ambito della cultura, nel senso antropologico più ampio.
Un Pasolini inattuale, dunque, questo di Marramao. E il titolo del libro riecheggia pure quello di un numero monografico della rivista «Aut aut», uscito nel 2010, che ne aveva, infatti, uno quasi identico, Inattualità di Pasolini, monografico in cui era presente anche un contributo dello stesso Marramao, poi confluito nella seconda parte, Violenza e redenzione, del libretto di cui sto scrivendo qui.
Filosoficamente, quello di inattualità è un concetto nicciano e, se pur opportunamente rimarcando che l’universo pasoliniano non potrà mai essere circoscritto per intero in un orizzonte filosofico, Marramao, nel sottolineare una certa ascendenza nicciana di Pasolini, non lo sottrae a un confronto con quel concetto e alla consapevolezza che ne deriva: quella di essere «portatore di una prematurità anticipatrice del proprio tempo» e di compiere questa stessa anticipazione a partire da una condizione anti-manichea, ponendosi, di conseguenza, al di là del bene e del male. Questa posizione diviene un punto archimedeo da cui, analizzando la realtà, poter agire con più efficacia su di essa, che, appunto, come ricorda Marramao citando Pasolini, «non è manichea, non conosce soluzioni di continuità».
È nella traccia di questa continuità che va rinvenuto il senso profondo della scelta mimetica pasoliniana, con l’attenzione giustamente focalizzata da Marramao sull’aspetto metamorfico della sua scrittura poetica. E questo principio metamorfico, come nucleo irriducibile di una poetica in quanto visione complessiva della realtà (in quanto ideologia), si rispecchia proprio all’interno di quella scelta onnivora di volersi misurare con la totalità delle forme espressive «(dalla poesia al romanzo, dal saggio all’articolo “militante”, dal cinema al teatro)»: una totalità in cui ogni singola forma rimane comunque sempre riconoscibile a partire dal suo proprio specifico estetico, pur in una inadeguatezza strutturale a voler rappresentare individualmente l’intera realtà.
L’unica eccezione è costituita dalla sola poesia, non intesa come specifico estetico, ma come grado zero o forma generale dell’espressività, come possibilità stessa della creazione/produzione, quindi come corrispettivo della realtà stessa, in quanto «luogo del cambiamento perenne, dell’eterno superarsi del singolo». Così, la poesia finisce per istruire di sé ogni altra forma espressiva, costituendo l’unica vera alternativa alla realtà del potere, come potere costituito. E il potere, oggi come ieri, oggi sempre più di ieri, si manifesta come esercizio di controllo dei corpi, nella fantasmagoria del consumo.
Questo non era sfuggito all’azione poetico-critica pasoliniana e non sfugge neppure all’analisi di Marramao, che, non casualmente, nelle ultime pagine del libro, sullo sfondo di spunti ricavati dall’intervento di Pasolini al congresso del Partito radicale, pubblicato come ultimo capitolo delle Lettere luterane, allinea l’evocazione della scena tragica dell’omicidio pasoliniano col suo corpo massacrato, nel contesto degradato dell’Idroscalo di Ostia, con la questione della democrazia come esercizio anch’esso tragico, la cui verità non può che rispecchiarsi nella necessità del confronto continuo, nell’affermazione di posizioni che manifestano sé stesse nell’inevitabilità dello scontro dialettico. E proprio richiamandoci a quell’intervento al congresso dei radicali, ci piace qui ricordarne la chiusura, in cui Pasolini, in una sorta di kerigmatica apologia del fallimento, li incitava: «Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare».
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