In che cosa è di destra questo governo di destra? Qual è il suo emblema, la sua cifra unificante? E come si manifesta nelle politiche intraprese dal nuovo esecutivo? Si dirà: legge e ordine, il vecchio slogan (Law and Order )coniato durante gli anni Sessanta del secolo scorso nel Sud razzista degli Stati Uniti. In effetti c’è un piglio fin troppo deciso nell’intransigenza verso gli immigrati o verso i giovani che si radunano in un rave. E c’è una nota dura, ultimativa, nei toni usati da questo o quell’apostolo della nuova maggioranza, contro chiunque osi dissentire. Eppure non è qui il tratto più marcato del gabinetto Meloni. Che è di destra, radicalmente di destra, secondo le categorie indicate in un aureo libretto di Norberto Bobbio (Destra e sinistra , 1994). Lui osservava che la destra vuole la libertà dalle grinfie dello Stato, mentre la sinistra tende all’eguaglianza sotto l’ombrello dello Stato. Due valori distinti e forse opposti, giacché l’uno implica un qualche sacrificio dell’altro. Sennonché l’eguaglianza di tutti i cittadini non viene soltanto ridotta o circoscritta dalla nuova destra di governo. No, viene negata, rifiutata.
Viene combattuta come un nemico in armi. E questa lotta si consuma mettendo in campo più Stato, non meno Stato. Usando le sue leggi, la sua leva fiscale, perfino la sua Costituzione. In nome d’una visione parcellizzata della società italiana, che genera in ultimo effetti disgreganti, divisivi.
Ne è prova, per esempio, la legge di bilancio. Dove s’affaccia l’idea d’alzare la flat tax per i lavoratori autonomi (da 65 mila a 85 mila euro di fatturato), con un’imposta forfettaria del 15 per cento. E i dipendenti?
Loro pagano tutto, e pagano per tutti. Da qui il j’accuse di Banca d’Italia, risuonato durante un’audizione in cui peraltro erano presenti quattro parlamentari su 53 delle commissioni riunite. Difatti la tassazione differenziata tra dipendenti e autonomi “tratta in modo ingiustificatamente dissimile individui con la stessa capacità contributiva”, penalizzando i primi anche a causa del drenaggio fiscale causato dall’inflazione. Con buona pace del principio d’eguaglianza, oltre che della progressività del sistema tributario (articolo 53 della Costituzione).
Ne è prova, altresì, l’autonomia differenziata predisposta dal ministro Calderoli. Vero: la nostra Carta (articolo 116) ne contempla l’adozione, offrendo alle 15 Regioni ordinarie una chance per ottenere nuove competenze.
Ma è un’eccezione, non la regola. Viceversa nel progetto ministeriale ciascuna Regione può ottenere tutte le 23 materie fin qui gestite dallo Stato, e senza nemmeno motivare la richiesta. Ne verrà fuori un arcobaleno di poteri, mentre diritti fondamentali come la salute, il lavoro, l’istruzione, di punto in bianco diverranno à la carte, con garanzie diverse da un territorio all’altro.
Ferendo l’eguaglianza, e in definitiva intonando un inno all’anarchia.
Terza questione: il reddito di cittadinanza. Come ogni misura normativa si può abrogare o mantenere, e si può ovviamente riformare. Invece il governo Meloni interviene con la sua arma preferita: lo spaccacapelli.
Lasciando a digiuno la categoria degli «occupabili», che secondo l’Istat coinvolge una platea di 846 mila persone.
Ma chi sono gli occupabili? A lume di naso, dovrebbe trattarsi di quanti non hanno difficoltà ad accedere al mercato del lavoro. Ma è una definizione astratta, dove la teoria bisticcia con il mondo reale, come hanno osservato Chiara Saraceno e vari altri studiosi. In compenso la fantasia semantica non è del tutto nuova. Già una legge del 1961 (n. 1240) parlava dei disoccupati come «incollocabili», riconoscendo loro, se non altro, un «trattamento di incollocabilità». Il nostro governo non fa nemmeno questo.
Insomma: autonomia differenziata, tassazione differenziata, trattamento differenziato agli occupabili. E differenziazione tra evasori e pagatori, tra il popolo dei furbi e il più vasto popolo dei fessi, in virtù dell’ultimo condono fiscale. La diseguaglianza come bussola di Stato.