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Francesco: con la morte di Benedetto ho perso un padre. Le critiche? Me le dicano in faccia
Gian Gudo Vecchi
CITTÀ DEL VATICANO «Ho perso un padre», dice della morte di Benedetto XVI, spiega ironico di stare bene e non pensare al momento alle dimissioni, «potrei morire domani, ma sono in buona salute, non mi è nemmeno venuto in mente di fare testamento», e sugli oppositori osserva che le contestazioni possono essere sgradevoli «come un’eruzione cutanea che dà un po’ fastidio» ma «io preferisco lo facciano perché così c’è libertà di parola» e «chiedo solo che me lo dicano in faccia». Ma è quando gli chiedono delle leggi che nel mondo criminalizzano l’omosessualità che papa Francesco, in un’intervista all’Associated Press, manda un segnale fondamentale: «Essere omosessuali non è un crimine».
Il discorso di Francesco è sottile: «La condanna dell’omosessualità arriva da molto lontano. Oggi credo che i Paesi che hanno condanne legali siano più di cinquanta. E di questi credo che una decina abbiano la pena di morte. Non la nominano direttamente, ma dicono “coloro che hanno comportamenti innaturali”. Cercano di dirlo in modo nascosto. Ma ci sono Paesi o almeno culture che hanno questa forte tendenza. Penso che sia ingiusto», premette.
E poi spiega: «Qui in udienza io ricevo gruppi di persone così. Siamo tutti figli di Dio e Dio ci ama così come siamo e per la forza che ognuno di noi ha di lottare per la propria dignità». Così «essere omosessuali non è un crimine. “Sì ma è un peccato”», dice il Papa come a ripetere l’obiezione di un interlocutore che sostenesse quelle leggi, e ribatte: «Prima distinguiamo tra peccato e crimine. Ma è peccato anche la mancanza di carità verso il prossimo, e allora? Ogni uomo e ogni donna devono avere una finestra nella loro vita alla quale rivolgere la loro speranza e poter ricevere la dignità di Dio. Ed essere omosessuali non è un delitto, è una condizione umana».
Così, i vescovi che sostengono leggi contro l’omosessualità «devono avere un processo di conversione» e fare propria «la tenerezza che Dio ha per ciascuno di noi», le leggi contro l’omosessualità sono «ingiuste» e la Chiesa deve impegnarsi perché siano abolite: «Deve fare questo, deve fare questo», ripete.
Le contestazioni
«A volte possono essere come un’eruzione cutanea che dà un po’ fastidio»
Quello di Francesco «è un appello storico per la depenalizzazione dell’omosessualità in tutto il mondo e un immenso passo avanti per le persone Lgbtq, le loro famiglie e tutti coloro che le amano», fa notare padre James Martin, direttore della rivista dei gesuiti America Magazine, vicino a Bergoglio e da anni in prima fila nella Chiesa contro ogni discriminazione.
Nel colloquio, il Papa torna a parlare del predecessore, «Benedetto XVI era un gentiluomo e per me una sicurezza: di fronte a un dubbio, chiedevo la macchina, andavo al monastero e domandavo». Dice di non aver avuto un ruolo nella vicenda di padre Rupnik, che abusò di religiose e al quale è stata tolta una scomunica, «una persona, un artista di questo livello, per me è stata una grande sorpresa e una ferita».
Francesco è sereno davanti all’acuirsi della fronda tradizionalista, «non lo metterei in relazione con Benedetto, ma con il logorio di un governo di dieci anni», meglio le critiche che «una dittatura dove c’è l’imperatore», e del resto ne ha anche per le spinte ultrariformiste del Sinodo tedesco: «Qui il pericolo è che entri qualcosa di molto ideologico. Quando l’ideologia viene coinvolta nei processi ecclesiali, lo Spirito va a casa».
Ratzinger era un gentiluomo e una sicurezza: di fronte a un dubbio andavo da lui al monastero e domandavo