il commento
di Stefano Lepri
Anche per additare all’opinione pubblica falsi colpevoli, un po’ di competenza ci vuole. Altrimenti, dopo aver imputato ai «benzinai speculatori» eccessivi rincari, si finisce con l’Autorità Antitrust che mostra come il rimedio adottato dal governo sarebbe peggiore del male. Ovvero l’indicazione obbligatoria del prezzo medio al litro indurrebbe a ritoccare all’insù i prezzi che sono più bassi.
A governare, anche, si impara. Porrebbe rimedio a errori di questo tipo l’intenzione annunciata dal ministro dell’Economia di copiare dal 1° aprile, per l’energia, il modello tedesco di sussidi. Invece di abbassare i prezzi per tutti si interverrebbe agevolando i consumi solo fino a una certa soglia, lasciando che oltre i prezzi alti incentivino a risparmiare.
Resta che per far questo l’Italia ha molti meno soldi della Germania. Può essere solo un poco attenuata, non cancellata, la taglia che l’invasione dell’Ucraina ci impone di pagare, magari non più alla Russia ma agli altri Paesi ricchi di idrocarburi a cui ci rivolgiamo per sottrarci al ricatto russo. Occorre concentrare gli interventi sulle categorie più deboli.
La lezione del caso benzina ha un senso più ampio. Questa destra, che rivendica di mettere «prima gli italiani», ha utilizzato il traino di categorie bellicose, di minoranze aggressive il cui motto implicito è «prima noi, poi gli altri». Trovandosi costretta a scontentarne qualcuna, scoprirà che la riconoscenza ha durata breve, e che peraltro indicare un capro espiatorio non aiuta a trovare una soluzione. Se si vuole guidare un Paese per cinque anni, non si può più soffiare sul fuoco di qualsiasi malcontento, spesso esagerandone l’importanza. Ad esempio, gli attacchi contro la Bce per il rialzo dei tassi hanno preoccupato altri governi dell’Unione; dopodiché si scopre che per le nostre imprese a tutt’oggi il costo del denaro non è ancora un problema, nelle valutazioni del governatore della Banca d’Italia e anche in quelle del presidente della Confindustria.
Sui prezzi dell’energia in campagna elettorale erano state alimentate aspettative che ora non possono essere soddisfatte. Purtroppo si continua a far propaganda, con gli ambiziosi progetti di riforma fiscale che si stanno mettendo in cantiere senza aver le risorse per un netto calo delle tasse. Anche qui, fanno da traino minoranze di contribuenti poco scrupolosi, allettati dall’abolizione del reato di dichiarazione infedele o dall’abbattimento delle sanzioni per l’Iva. Nella cifra strabiliante di 18 miliardi di vecchi debiti tributari che saranno cancellati ci sono certo multe minime, pratiche sbagliate o riguardanti defunti, ma anche casi di consumata abilità nel risultare nullatenenti. Quando però si arriverà al centro dei problemi che investono la massa di famiglie e imprese, come fare? Per abolire l’Irap senza perdere gettito, occorrerà una addizionale sull’Ires; e siccome il 40% delle società non deve Ires, il peso ricadrà tutto su quelle, in utile, che la pagano. Poi, di alleggerire l’Irpef togliendo le agevolazioni si parla da decenni, però nessuno ne ha mai trovato il coraggio.
Una riforma che contenti tutti o quasi non si può fare, con il carico di debiti che l’Italia ha. Perciò è probabile che, una volta tacitate le fasce più riottose, di sostanza se ne vedrà poca: perché sommando favori a minoranze l’interesse della maggioranza non lo si trova. E intanto si fa strada l’idea di chiedere alle autorità europee che una parte dei soldi del Pnrr non vada a investire sul futuro, ma a tenere in piedi ciò che c’è, imprese in perdita comprese.