Ha subito lo scandalo del palazzo di Londra Ma nei suoi primi dieci anni di regno il Papa ha rivoluzionato la burocrazia interna per disboscare la Curia da frodi e corruzione
CITTà DEL VATICANO
Dal buco di bilancio di papa Leone XIII al crac del Banco Ambrosiano, dalle ombre della banda della Magliana all’utilizzo dello Ior come lavatrice di tangenti e denaro delle mafie, quella delle finanze vaticane è una storia punteggiata di grandi scandali, colpi di scena, personaggi mitologici come il famigerato monsignor Paul Casimir Marcinkus. Eventi rigogliosi, però, grazie a un humus propizio, una prassi minore ma pervasiva che ha causato non pochi danni all’organizzazione, alla credibilità, nonché alle casse dello Stato pontificio.
È la gestione informale della sua economia, che siano immobili, appalti, assunzioni. I rapporti personali, clientelari o famigliari, si sono spesso intrecciati con le decisioni di spesa. La telefonata di un cardinale inibiva i controlli e scavalcava le obiezioni del funzionario preposto, e alla fine il fratello, il nipote, l’amico o l’amico dell’amico otteneva quanto devotamente anelato. Un modus operandi del quale hanno beneficiato il sottobosco del generone e del generetto romano, ambienti imprenditoriali e politici italiani. Doveva arrivare un Papa «quasi dalla fine del mondo» per porre fine a questa inveterata prassi della corte pontificia.
Amici e amici degli amici
A volte contraddicendosi, altre volte affidandosi a collaboratori sbagliati, in dieci anni, però, Jorge Mario Bergoglio ha fatto molto per smontare il clientelismo vaticano. Introducendo, senza grande clamore, procedure che spengono sul nascere il malaffare spicciolo. È in vigore dal 2020 un codice appalti teso a “combattere le frodi, il clientelismo e la corruzione”, in forza del quale, ad esempio, non può più partecipare a una gara chi sia “parente fino al quarto grado o affine fino al secondo grado” di chi ha fatto l’offerta. Quanto alle regalie, dal 2021 i porporati e gli altri dirigenti non possono “accettare o sollecitare, per sé o per soggetti diversi dall’Ente nel quale prestano servizio, in ragione o in occasione del proprio ufficio, doni, regali o altre utilità di valore superiore a euro quaranta”. Altro capitolo, la gestione del personale. Sino ad oggi chi era interessato a lavorare in Vaticano, genericamente,mandava un curriculum che veniva archiviato in uno schedario, un po’ obsoleto, dal quale si pescava senza troppo badare alle competenze specifiche. Il margine per i favoritismi era ampio. Nei prossimi mesi verrà introdotta una procedura diversa: quando un ufficio ha bisogno di una specifica figura, verrà pubblicato online, su un sito ad hoc, un annuncio di lavoro calibrato sulle qualifiche richieste. La direzione del personale metterà mano anche alla mobilità interna, con l’obiettivo di evitare sacche di inattività e valorizzare, con possibili incentivi, le specifiche competenze. Esclusi i licenziamenti per espressa volontà di Francesco, le assunzioni saranno conseguenza del turn over. Per scoraggiare il carrierismo, peraltro, Bergoglio ha stabilito che per gli ecclesiastici l’incarico in Vaticano deve durare solo cinque anni, rinnovabili una volta, poi si torna nella diocesi di origine.
Il Papa argentino sta introducendo un cambiamento culturale che prende molto tempo, ma può lasciare un segno duraturo. Coadiuvato da una squadra di professionisti e collaboratori fidati ha costruito un’architettura di “check and balance” che lascia poco margine alle decisioni, e agli arbitrii, del singolo. E ha introdotto nel sistema inediti anticorpi.
L’affaire Sloane avenue
Quando la Segreteria di Stato si è avventurata nell’opaco acquisto di un palazzo a Sloane avenue 60, nell’esclusivo quartiere londinese diChelsea, sono stati lo Ior e l’ufficio del revisore generale, insospettiti dalla richiesta di uno stanziamento straordinario, a segnalare la cosa alla magistratura vaticana. E se in passato sono stati pm di altri Paesi a tentare con una rogatoria internazionale di penetrare le invalicabili mura leonine, ora per la prima volta, come ha osservato Bergoglio, «la pentola viene scoperchiata dal di dentro». Il tribunale vaticano ha aperto un maxi- processo che vede sul banco degli imputati, tra gli altri, il cardinale Angelo Becciu, “sostituto agli affari generali” all’epoca in cui la Segreteria di Stato decise l’investimento. Anche questa è una novità: prima un porporato veniva giudicato da un collegio di altri cardinali. I sostenitori di sua eminenza lamentano che Becciu sia stato già condannato senza prove. In realtà il Papa lo ha sospeso dai diritti cardinalizi e dimesso dalla guida del dicastero che presiedeva come accade in un qualsiasi governo repubblicano quando un ministro finito sotto indagine lascia l’incarico in attesa del giudizio. Saranno i magistrati vaticani, guidati dall’ex procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, a stabilire chi, dentro e fuori dalle sacre stanze, ha approfittato della compravendita. La Santa Sede, di certo, ha perso una somma che oscilla tra i 65 e i 135 milioni di euro. Soldi provenienti da una cassa nella quale confluivano i fondi dell’Obolo di San Pietro, ossia le offerte che ogni anno i fedeli di tutto il mondo inviano al Papa “per le molteplici necessità della Chiesa universale e per le opere di carità in favore dei più bisognosi”: al danno erariale si è sommato quello reputazionale. Prima ancora che venga scritta la verità giudiziaria, di udienza in udienza il processo sta squadernando un ambiente di opacità, incompetenze, decisioni arbitrarie, mancanza di rendicontazione e controlli, ragnatele di rapporti personali che prendono il sopravvento su quelli istituzionali. Un quadro che ha già spinto il Papa a prendere provvedimenti draconiani.
“Materie riservate”
Nel 2020 Francesco ha disposto lo spostamento dei fondi gestiti dalla Segreteria di Stato sotto la responsabilità dell’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica (Apsa). L’obiettivo finale — è l’ultimo tassello della riforma — è centralizzare tutti gli investimenti in un’unica cassaforte, anziché lasciare un po’ di fondi in balia di ogni dicastero.
Nel frattempo è entrata in funzione la “commissione materie riservate”. Quando un presule voleva ottenere un finanziamento fuori sacco, bastava riuscire ad accedere al Papa e convincerlo che la straordinarietà della situazione — una suora rapita in un Paese sperduto da liberare tramite un riscatto, una donazione emergenziale a un istituto religioso a rischio fallimento — consigliava di gestire la cosa discretamente. Se il Pontefice firmava, era fatta. Ed è vero che ci sono situazioni fuori dall’ordinario, coperte dal segreto di Stato. Ma è altresì vero che nel tempo sono stati stanziati fondi che hanno poi preso strade poco chiare.
Ora chi vuole ottenere uno stanziamento del genere deve rivolgersi a questa commissione presieduta dal cardinale statunitense Kevin Farrell, uomo a suo agio con bilanci e calcolatrici. La quale analizza la richiesta e valuta se la materia meriti, effettivamente, la riservatezza invocata. Se l’esito dell’istruttoria è positivo, si stanzia il versamento e si archivia la documentazione presentata dal richiedente, beninteso coprendo le informazioni sensibili con gli omissis. Altrimenti — ed è quello che è successo più di frequente in questi due anni — la commissione comunica che non c’è ragione di secretare la questione: il finanziamento va richiesto alla luce del sole. Parenti, amici, amici degli amici sono serviti. — 2/ continua