Les médias, les intellectuels et Pierre Bourdieu
5 Marzo 2023Rondinone. Una mostra a modo mio
5 Marzo 2023di Anna Gandolfi
Ingorda, tanto da finire male per un’indigestione. Beneficiaria di un posto perennemente riservato al cospetto del padrone di casa. Imperturbabile mentre i commensali (ieri) e i turisti (oggi) s’interrogano: «Perché c’è una tartaruga sul tavolo?». Scherzi del Vate. Che, nell’ultima sala da pranzo costruita al Vittoriale, fa installare la testuggine. È il 1927 e Gabriele d’Annunzio vuole punzecchiare gli ospiti: «Esagerando con il cibo non andrete lontano…». Proprio come lei, filata al creatore per le troppe tuberose divorate (ma fu omicidio, ne diremo poi). Della Cheli — si chiama così — esistono due versioni: una in carne e carapace e una in bronzo smaltato. La prima è sepolta in giardino, la seconda (40 chili per un metro scarso di lunghezza) la ricalca. A sua volta quest’ultima è modello di esemplari più piccoli che il poeta regalava agli amici di passaggio nella dimora di Gardone Riviera (Brescia). Uno al campionissimo del volante, Tazio Nuvolari: «All’uomo più veloce, l’animale più lento».
Lenta, o anche no: 96 anni dopo la triste fine la Cheli si prende la rivincita. Per lei, apripista dell’intero Vittoriale con i suoi 8.500 pezzi d’arte, è ora del balzo nel Metaverso, l’universo digitale parallelo. L’avatar nasce con tre sfaccettature. La prima, più semplice, è una ricostruzione in 3D: la tartaruga in scala uno a uno tornerà a brucare l’erba nella realtà aumentata che sta per abbracciare tutto il museo (debutto con i visori l’11 marzo). La seconda è un non-fungible token (Nft), certificato che sancisce la proprietà della Cheli smaterializzata a colui che la comprerà all’asta. Terza fase — nel campo del futuribile — è quella ideata da Federico d’Annunzio, bisnipote del Vate: «Abbiamo tradotto la statua in stringhe numeriche che sono la sua “carta d’identità” digitale e le abbiamo messe in cassaforte». Ovviamente, racconta in anteprima a «la Lettura», non una cassaforte fisica: «Usiamo la blockchain, l’archivio immutabile su cui si basano le criptovalute». Implicazioni pratiche? «Estraendo e depositando i codici stiamo portando il Vittoriale nel futuro, perpetuiamo i suoi tesori usando il linguaggio di domani. Era il desiderio del mio bisnonno, che qui creò uno specchio di sé». Nell’atto del 22 dicembre 1923 con il quale il poeta dona «al popolo italiano» la sua ultima casa si legge: «Ogni oggetto raccolto nelle diverse età della vita fu sempre per me un modo di espressione. Perciò m’ardisco a offrire quel che mi rimane».
Per la cronaca. L’anno scorso, anche dopo una polemica che aveva coinvolto gli Uffizi e il Tondo Doni di Michelangelo riprodotto per il mercato tech, il ministero della Cultura aveva frenato le intese tra musei e società attive nel settore delle copie digitali per «non mettere a rischio la gestione, il controllo e lo sfruttamento delle opere del patrimonio nazionale». D’Annunzio, però, chiarisce: «Noi abbiamo estratto il “Dna” virtuale della scultura e le stringhe restano sotto il totale controllo del Vittoriale, che comunque fa capo a una fondazione».
Nipote di Veniero, terzo figlio del Vate, Federico lavora a Firenze nel settore hi-tech: ha registrato una ventina di brevetti internazionali. Proprio su alcuni di essi si basa il progetto Cheli. «Abbiamo semplificato e azzerato i costi della certificazione che, nel caso delle criptovalute, impiega migliaia di terminali. Vogliamo dimostrare che semplici cittadini e imprese possono rivoluzionare anche questa tecnologia». D’Annunzio (bisnonno), fan delle innovazioni, probabilmente apprezzerebbe molto la corsa della tartaruga.
Le novità saranno presentate al Vittoriale l’11 marzo, per i 160 anni dalla nascita del poeta. Spiega il presidente della Fondazione cui fa capo la dimora, Giordano Bruno Guerri: «Un museo deve guidare le tendenze. È d’Annunzio a scriverlo, in Contemplazione della morte: “Dico che l’elemento del mio dio è il futuro”». Il passo tech è l’ultimo di un cammino di apertura al pubblico iniziato nel 2008, quando Guerri è giunto al timone: «Se la lingua del Vate è sempre più difficilmente praticabile per la sua opulenza, la biografia è talmente affascinante da farne una figura universalmente nota. Il capolavoro di maggiore successo è la sua vita».
Eretto sul lago di Garda tra 1921 e 1938, il Vittoriale è stato cesellato dal poeta-soldato a propria immagine. «Chiedo a te l’ossatura architettonica — dice al progettista Carlo Maroni — ma io mi riservo l’addobbo. Desidero inventare i luoghi dove vivo». Così sono arrivati la nave Puglia incastonata nel parco, i mille cimeli: l’anello con il veleno indossato nel sorvolo di Vienna nel 1918, il cappello dell’incontro con il Duce del 25 maggio 1925 («D’Annunzio — ricorda Guerri — rispettava Mussolini come demiurgo giunto al potere, ma era ostile a Hitler e questa è una prova del suo distacco dal fascismo»), opere d’arte, centinaia di scarpe e vestaglie «sue e delle amanti. Per comporre i romanzi aveva bisogno di emozioni forti. Viveva come un sultano».
E poi c’è la testuggine. L’animale sbarca a Gardone nel 1924, regalo della marchesa Luisa Casati Stampa: eccentrico il dono, eccentrica lei che girava con un boa al collo. Ribattezzata «la Cheli», la bestiola vive beatamente in giardino fino al 1927, quando sul lago si presenta Maria Antonietta Avanzo, campionessa dei motori e (forse) ennesima amante di Gabriele. La quale elargisce alla bestiola tante, tantissime tuberose convinta di farne la felicità. Vero, anche troppo: quella ci lascia le penne. Il Vate non si scompone: incarica l’argentiere Renato Brozzi di forgiare la tartaruga bronzea. E da allora, magra consolazione, la Cheli se ne sta lì a dominare la tavola imbandita. Reale o virtuale che sia.