Come nel 2018 soltanto che questa volta è palese
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21 Marzo 2023La storia Attilio Momigliano riparò a Perugia, Carla Coen Pekelis in Francia e negli Stati Uniti Noemi Susani fu medico a Palmira. In un portale web gli intellettuali toscani in fuga nel Ventennio
di Stefano Fabbri
Benvenuti nel nostro, fino a poco tempo fa sconosciuto, album di famiglia. Anzi di intere famiglie costrette a lasciare l’Italia nella parte più nera del suo secolo breve. La fuga di cervelli italiani verso altri lidi oggi ha motivazioni innanzitutto di tipo economico e di soddisfazione personale. Ma c’è stato un tempo, non troppo remoto, in cui si fuggiva altrove per cause ancora più stringenti.
Durante il regime fascista non è stato necessario attendere la grande purga nelle università dettata dalle leggi razziali: l’esodo cominciò fin dalla metà degli anni Venti, con il varo delle «leggi fascistissime» e il loro corredo di strette definitive alle libertà personali e di obblighi — anche di fatto — di adesione al regime per un alto numero di categorie. I cervelli in fuga di allora non furono solo quelli di docenti e studenti universitari, dopo le espulsioni dagli atenei nel 1938. A cercare riparo in un altrove il più lontano possibile furono avvocati, musicisti, giornalisti, scrittori, medici, insegnanti, professionisti di ogni genere. E con loro intere famiglie si trasferirono all’estero. Non tutti sono tornati: molti non hanno voluto o potuto quando, a guerra finita, le condizioni erano cambiate. Oggi quel loro censimento complicatissimo è in un portale web ideato da Patrizia Guarnieri, docente ordinario di storia contemporanea all’Università di Firenze, che ha cominciato questo lavoro certosino nel 2019.
Il sito Intellettuali in fuga dall’Italia fascista. Migranti esuli e rifugiati per motivi politici e razziali ( https://intellettualinfuga.com/) ha avuto finora oltre 285 mila visualizzazioni, ma soprattutto è un archivio interattivo in continuo aggiornamento che racchiude, al momento, i nomi di quasi 400 intellettuali che, legati a Firenze e alla Toscana, decisero di andarsene, e delle centinaia di loro familiari che partirono con loro o per altre mete, decine di mappe e grafici delle loro vite in movimento e più di 1.500 fotografie grazie agli archivi e ai discendenti sparsi nel mondo. La scelta di rintracciare intanto i percorsi di coloro i quali vissero in Toscana parte della loro vita, anche per periodi brevi, non è per questioni di bandiera. È una scelta di fattibilità, perché i numeri sono assai superiori al previsto, ma anche perché «Firenze e la Toscana — spiega la storica — avevano una forte capacità attrattiva da altre aree della Penisola e dall’estero per gli intellettuali. Con la presenza degli atenei di Firenze, Pisa e Siena, del Conservatorio Cherubini, dell’Accademia di Belle Arti e non solo era un centro di circolazione di idee e persone per il mondo della cultura e delle professioni».
Per seguire le tracce dei fuggitivi loro malgrado, Patrizia Guarnieri, col suo team di lavoro, ha svolto un percorso a ritroso: è partita da dove erano arrivati. E una vera messe di dati e date è quella spulciata negli archivi dell’ Emergency Committee di New York: una specie di libro mastro dei cittadini europei, anzitutto tedeschi poi anche italiani, che cercavano di raggiungere gli Usa soprattutto, o le Americhe, l’Inghilterra o la Palestina mandataria per sfuggire alle dittature. È lì, tra circa 6 mila fascicoli, che sono emersi nomi già molto noti e altri dietro ai quali c’erano storie tutte da scoprire. Ma anche sui primi non mancano dettagli e novità. Come per il piemontese Attilio Momigliano che, dopo tentativi non riusciti di riparare in Paesi d’Oltreoceano di lingua neolatina e dopo aver perduto la cattedra a Firenze, si nascose fino alla fine della guerra tra Perugia e e Città di Castello, dove, critico ed italianista insigne, per un tipografo-editore scrisse una prefazione a Pinocchio di cui è emerso il manoscritto. Altre storie sono più complesse, come quella di Carla Coen Pekelis (tantissime le donne intellettuali in fuga, molte più di quanto la narrazione più comune possa aver fatto pensare finora). Nata a Roma arrivò nel 1924 a Firenze dopo che il padre aveva acquistato la celebre gioielleria «Settepassi» sul Ponte Vecchio. Diplomatasi in pianoforte al Conservatorio Cherubini e quindi sposata con l’avvocato antifascista Alessandro Pekelis e madre di tre figlie, riparò in Francia fino al 1940 quando dovette ancora fuggire verso gli Stati Uniti dove lavorò prima come speaker radiofonica e poi come docente universitaria. Tornò solo per brevi periodi in Italia e morì a New York nel 1985. Livornese di nascita invece Noemi Susani, una delle appena dieci donne abilitate alla professione medica dall’Università di Siena nel 1937 ma radiata dall’Ordine nel 1940 perché ebrea: non ricevette mai quella comunicazione perché da un anno era fuggita in Siria, piantando in asso il fidanzato notaio la cui famiglia era contraria all’espatrio, per fare il medico a Palmira dopo un viaggio avventuroso. Non tornò mai in Italia, ma in Francia nel 1958. Ci tornò invece il fiorentino Mario Volterra, anche lui medico, anzi considerato allora tra i più promettenti del Paese, con periodi di formazione in Germania fino al 1931. Nel 1938, seppure iscritto al Partito fascista dal 1932, fu costretto a fuggire cercando l’appoggio della Society for the Protection of Science and Learning di Londra. Dopo un breve periodo tra Francia e Svizzera, giunse negli Usa nel 1939 lavorò come esperto ematologo a New York fino al rientro a Firenze nel 1951 dove non venne reintegrato nel suo posto universitario, ma assunto all’ospedale di S. Maria Nuova. Non riuscì mai a toccare il suolo americano, invece, un suo quasi omonimo ma non parente, Edoardo Volterra, docente di diritto romano a Pisa, poi a Bologna: la sua fuga si svolse tra Francia e Olanda lavorando come fotografo e paleontologo. Partigiano a Roma nel 1944, concluse la sua carriera come giudice della Corte Costituzionale. Questi e molti altri i fili riannodati, insomma, di una Spoon River domestica, seguiti nel lavoro a ritroso di Patrizia Guarnieri e che hanno consentito di rintracciare familiari, amici e coloro i quali sostennero quei cervelli nella loro fuga. Un esercizio non certo solo accademico: il lavoro sta continuando a restituire, pezzo dopo pezzo, la foto allora stracciata del tessuto civile ed intellettuale fiorentino e toscano, ricostruendo una memoria che anche le Istituzioni locali potrebbero contribuire a sviluppare e conservare. In una terra ricca di musei ed archivi vecchi e nuovi, chissà, forse ne meriterebbe uno anche quello, in gran parte digitale, su una pagina triste e assurda della storia. Ma pur sempre la nostra storia.
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