Nella città capitale del Rinascimento estense Palazzo dei Diamanti riapre dopo il restauro con una clamorosa esposizione dedicata a Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa, maestri della pittura padana
Ferrara chiama con un doppio appuntamento: la riapertura di Palazzo dei Diamanti e una mostra dedicata a Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa. Il complesso disegnato da Biagio Rossetti è riconsegnato al pubblico nella sua interezza, dopo essere stato interessato da una serie di organici interventi di restauro e valorizzazione, progettati dallo Studio Labics.
L’evento d’apertura può vantare più di cento opere in prestito da musei di tutto il mondo. Curata da Vittorio Sgarbi e Michele Danieli, la mostra si dipana lungo i rinnovati ambienti espositivi impreziositi da note di sobria eleganza. Pregevole il rivestimento dei portali in ottone brunito che conferisce al percorso una luminescenza discreta, eppure capace di dilatare percettivamente gli spazi. L’itinerario prosegue con una passerella, che congiunge le due ali del palazzo mentre separa il cortile dal giardino esterno. Una sequenza di stanze all’aperto ritmata da assi in legno carbonizzato, una soluzione che coniuga esigenze conservative ed estetiche. Dalla passarella si accede al giardino, il cui impianto riprende moduli geometrici già testimoniati da stampe settecentesche. L’inserzione di uno specchio d’acqua circolare evoca il patavino Giardino dei Semplici, archetipo degli orti botanici. È una citazione opportuna perché Padova ha fecondato il Rinascimento ferrarese, in virtù dell’espressionismo donatelliano e dell’asprezza tipica degli allievi di Francesco Squarcione: Andrea Mantegna, Giovanni Bellini, Marco Zoppo e Cosmè Tura. Tutti rappresentati in mostra per dare il via a una narrazione che ripercorre la storia ferrarese durante il dominio di Borso ed Ercole d’Este.
Nella prima sala il focus è sul cantiere Schifanoia, incubatore di Ercole de’ Roberti. In Officina ferrarese Roberto Longhi lo definì il «genio numero tre della pittura ferrarese », terzo dopo Tura e Francesco del Cossa, protagonista acclarato del ciclo dei mesi. Fu Longhi a individuare Ercole quale autore del mese di Settembre e ha ragione Sgarbi quando assimila l’intensità poetica di quel riconoscimento a un gesto maieutico. Nessuno sin lì aveva pensato a Ferrara come a uno dei principali centri del Rinascimento, nessuno dopo di allora poté mettere in dubbio tale certezza. L’officina ferrarese si sovrappone alla Fucina di Efesto : Ercole de’ Roberti viene alla luce con la danza dei ciclopi martellanti.
Per essere su quel ponteggio Ercole doveva essere nato non più tardi del 1453, doveva quindi essere coetaneo di Leonardo e Bosch. Ed è proprio al fiammingo che fanno pensare le rocce fantastiche dell’onirica predella Griffoni, riunita ai santi laterali e all’ Annunciazione . Nessun forzato parallelo con Bosch, ma la sottolineatura di una componente fiamminga: alla corte estense il magistero di Rogier van der Weyden s’ibridava con la luminosa logica pierfrancescana.
Il percorso espositivo consente di osservare come Ercole dialogasse da pari con Piero della Francesca. Nel ritratto doppio di Giovanni Bentivoglio e Ginevra Sforza, de’ Roberti si confronta con il dittico urbinate, rifiutando l’immersione dei protagonisti nel paesaggio pieno per esaltare il contrasto brillante tra i volti e il tendaggio. Un’ipotesi radicalizzata e invertita nel Ritratto maschile , piccola tavola nella quale il nero è commesso al nero: abito e ambiente si perdono,uno nell’altro, in una voluttà di luceoscura.
La mostra prosegue indagando la crisi seguita alla scomparsa di Tura (1495) e di Ercole (1496). La Dormitio Virginis è intarsio di forze divergenti e congelate in un equilibrio irripetibile. Il fondo oro, innervato da un risentito arabesco, ricorda la coperta di un codice miniato. Se ne è avveduto Andrea De Marchi, che ha proposto di attribuirla a Baldassarre d’Este, figlio naturale di Niccolò III. Fratellastro di marchesi e duchi, nel 1502 il pittore scriveva a Ercole I per elemosinare «qualchi vostri panni vechij a cio possa comparire qualche volta ala (pre)sentia de V.S.», povera paga per un’opera con dodici apostoli. Si tratta con ogni probabilità della Dormitio , realizzata all’alba del secolo nuovo. Parole sommesse nelle quali s’avverte il riverbero di un rancore temprato nei decenni, un astio che s’abbina con il metallico furore della Dormitio .Chiunque fosse l’autore ci si trova innanzi a un’orgogliosa rivendicazione dell’espressionismo di de’ Roberti, della sapienza dei miniatori e del naturalismo mantegnesco dellaMorte della Vergine. Maria non dorme, è morta, e i suoi piedi sono quelli di un’anziana popolana. Uno sperimentalismo nostalgico e polemico nei confronti di edulcorate proposte alla moda. Petroso, prezioso e aguzzo, come il palazzo che lo ospita, il dipinto rappresenta una scelta sostanzialmente analoga a quella adottata da Botticelli dopo la tragedia di Savonarola. Il maestro dellaDormitio appartenne a una generazione che visse il Rinascimento, ma non la palingenesi annunciata dal profeta ferrarese, giustiziato nel 1498.
D’altra pasta era il più giovane Lorenzo Costa, che fece dell’evoluzione linguistica la propria cifra stilistica. Affermare che Costa si mantenesse aggiornato sarebbe riduttivo, Lorenzo non fu un emulo, rielaboròsempre in piena autonomia. La ricca antologica consente di seguire questo percorso dagli esordi all’insegna di Ercole alla fascinazione peruginesca, e oltre: la Madonna annunciata del 1499 anticipa soluzioni raffaellesche; le Veneri rileggono, alla luce di Leonardo e Correggio, l’esempio dureriano dell’Adamo ed Eva; laCleopatra corre parallela a Lucas Cranach. Costa si mantenne sulla faglia dell’innovazione per l’intero arco di una lunga carriera. Paradossalmente tale sensibilità, la sua principale qualità, coincise con il suo limite. Eccellente professionista, Lorenzo non fu il genio numero quattro della pittura ferrarese. Voluta dalla Fondazione Ferrara Arte, presieduta da Sgarbi, e dall’amministrazione comunale, la mostra sarà visibile sino al 19 giugno. Notevole il catalogo (Silvana Editoriale), sorretto dall’intervento di Michele Danieli, un serrato saggio sul Rinascimento padano.