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Dall’americano Andres Serrano a Mimmo Paladino, dalla scrittrice Igiaba Scego al regista Roberto Andò e al soprano Carmen Giannattasio, la risposta degli artisti dopo l’incontro nella Cappella Sistina: «Il Papa parla la nostra lingua»
Non ci sono parole di circostanza tra quelle degli artisti usciti dalla Cappella Sistina, dopo l’incontro con papa Francesco. Sono colpiti dalla forza, dalla precisione e dalla natura persino visionaria del discorso del Pontefice. Ma soprattutto dalla capacità di parlare la loro lingua. «Papa Francesco è un libero pensatore. Ha abbracciato l’arte e gli artisti perché ci capisce. In qualche modo persino più di quanto gli artisti capiscano se stessi. E questo è possibile perché capisce gli uomini». A parlare è l’artista americano Andres Serrano, una delle celebrità dell’arte tra quelle raccolte sotto la volta di Michelangelo. Una figura spesso contestata proprio per le sue opere a soggetto religioso, ma lui si è sempre dichiarato autenticamente cattolico. « Il Papa ha detto perfettamente che l’arte è imprevedibile, e che ci dà spazi di respiro e di movimento. Francesco ha parlato di povertà, di abissi oscuri, di umanità. È esattamente ciò che indaga la mia arte. Che non è intellettuale, ma si occupa delle persone, della condizione umana, di razza, religione, amore, odio. Io e il Papa siamo sulla stessa pagina». Per Mimmo Paladino non è la prima volta di un’udienza con un Pontefice in Cappella Sistina. «Ma questa volta c’era un’atmosfera particolare – racconta –. Due passaggi mi hanno colpito in particolare, due pensieri profondi non solo sul rapporto tra arte e Chiesa ma sull’arte contemporanea in generale. Il primo è che non bisogna pensare all’armonia come equilibrio, ma anzi che la si trova nel disequilibrio. E questo è avanguardia pura. E poi il concetto di ironia e autoironia, davvero prezioso. Francesco ci spinge ad andare un passo più in là. E non deve colpire che l’invito a un’arte libera arrivi dalla Chiesa, ormai la
sola grande autorità spirituale e politica a livello mondiale. Se si assimila questa mentalità creativa può essere una svolta etica. Un discorso proiettato nel futuro».
La scrittrice afrodiscendente, come ama definirsi Igiaba Scego, sottolinea invece il passaggio finale dedicato ai poveri: «Una conferma dell’attenzione di Francesco verso le persone messe ai margini dalla società. Ha detto che la nostra arte non può dimenticarsi degli ultimi. È un monito che ho sentito forte, ho pensato all’ultimo naufragio in Grecia. Ma tutto il discorso va sedimentato. Ci sono nodi teologici, sociali, politici che richiedono tempo». Un discorso che nella Sistina riverbera in modo forte, anche per la presenza di quella che si sente comunità: «È stato un incontro tra di noi – osserva Scego – in cui abbiamo potuto parlare, confrontarci. Inoltre non capita tutti i giorni di incontrare artisti di altre discipline. Da parte delle persone che erano lì e dal discorso del papa è emersa una responsabilità dell’arte che è tutta contemporanea ». Per il regista e scrittore Roberto Andò, «il discorso tutto è altissimo, di grande valore in molti sensi. Sicuramente è bella l’idea di rinsaldare un rapporto tra Chiesa e artisti, che ha ormai una lunga storia alle nostre spalle, ma il Papa ha saputo dare un accento nuovo, potente. Ha parlato dell’artista come bambino e veggente, che dona nuove versioni del mondo e che si associa nella potenza generativa a Dio. E di una armonia che non è edulcorazione ma dare spazio alle contraddizioni. Una visione di prospettiva, che tocca il cuore di ogni artista». Anche Andò come Paladino sottolinea che è stato un discorso «oggi inimmaginabile nella politica europea e mondiale, proprio per la capacità di superare le piccole diatribe e le dispute di interesse. Mi ha fatto sentire in un luogo dove la cultura è spirito». Unico anche il riferimento all’ironia: «È una della prerogative dell’arte di ogni tempo e di questo in particolare. Francesco l’ha sottolineato: è qualcosa che piace a Dio. Fa il paio con il dire che l’artista partecipa della passione generativa, che può sognare un’altra versione del mondo. È una frase vertiginosa perché il solo aspetto demiurgico, senza questa possibilità di ironia, sarebbe pericoloso. Non si può dimenticare che il cattivo uso della religione nella storia ha combattuto l’ironia.
Quando è grande l’arte è aperta alla contraddizione, come l’esistenza umana». Si è commossa Carmen Giannattasio, soprano di fama internazionale, quando papa Francesco ha richiamato la dimensione del sogno e li ha invitati a non dimenticare i poveri. Perché si è sentita chiamare in causa con la Fondazione che porterà il suo nome e che inaugurerà domani a Varsavia. «Se da una parte il Pontefice ci ha incoraggiato ad avere occhi che sognano, dall’altra il nostro compito è aiutare con la bellezza ad alimentare i sogni. Di tutti, ma in particolare dei più bisognosi. Ed è ciò che mi sento chiamata a fare non solo sul palcoscenico ma anche attraverso la fondazione internazionale no profit che avrà come motto “Sentiti libero di sognare”». Finanzierà borse di studio e percorsi formativi di giovani da tutto il mondo. «Soprattutto di quanti arrivano da Paesi disagiati dove magari una ragazzina può essere maltrattata soltanto perché coltiva un sogno». Il teatro che segna la vita e la carriera di Giannattasio è una delle macchine dei sogni per eccellenza. «Ogni volta che si alza il sipario – racconta – è come se diventassimo dei sacerdoti in una liturgia laica che tocca le corde più intime. Anche se alla fine avrò sostenuto lo spirito di una sola persona che mi sta ascoltando, significa che ho svolto la mia missione».