La storia
Il 15 agosto 2021 Kabul cade nelle mane dei talebani al termine di un’offensiva iniziata nel maggio 2021. È la fine della guerra in Afghanistan, avviata dagli americani in risposta agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 e proseguita con la missione Nato per un totale di venti anni. Al termine dei quali i talebani tornano al potere dando vita al Secondo Emirato islamico dell’Afghanistan figlio di un precedente accordo firmato a Doha con gli Usa nel 2020. Tra il 14 agosto e il 31 agosto 2021, gli Stati Uniti e i partner della coalizione evacuano più di 123 mila persone dall’Afghanistan tramite ponti aerei dall’aeroporto internazionale Hamid Karzai.
Per chi rimane il nastro della storia si riavvolge in un lampo di venti anni, o quasi. A partire da oggi, 15 agosto, in occasione dei due anni dal ritorno del movimento che vede il suo padre nobile nel Mullah Omar (colui che aveva dato ospitalità e forze ad Osama bin Laden) i talebani hanno in programma raduni di massa in diverse parti del Paese per celebrare la “vittoria”.
Nonostante siano trascorsi 24 mesi, e l’attenzione del mondo sia scemata anche a causa del conflitto russo-ucraino, l’amministrazione talebana si trova costretta a far fronte a una serie di emergenze drammatiche in diversi settori tra cui sicurezza, economia e il mancato riconoscimento globale da parte della comunità internazionale. La crisi economica mette in pericolo la vita di milioni di afgani, non ci sono posti di lavoro e imprese e anche la maggior parte delle organizzazioni umanitarie internazionali ha sospeso i progetti di aiuto alla popolazione in cui molte persone locali lavoravano. Migliaia di afghani sono fuggiti dovendo fare i conti sovente con la chiusura e i respingimenti dei Paesi confinanti. «Il rispetto dei diritti umani il divieto di istruzione e occupazione femminile che hanno allargato il divario tra il mondo e Kabul», spiega Haq Nawaz Khan, analista del Washington Post.
La negazione delle donne
I talebani hanno attuato una sistematica opera di privazione dei diritti e repressione nei confronti delle donne. Partendo dall’obbligo di non uscire da casa per arrivare al divieto di accesso all’istruzione universitaria sino all’impedimento di lavorare per Ong e agenzie delle Nazioni Unite, con ricadute per tutta la popolazione. «Con questo divieto, le autorità talebane cercano di costringere l’Onu a fare una scelta spaventosa tra il rimanere e fornire supporto al popolo afghano e il rispettare le norme e i principi che abbiamo il dovere di difendere», afferma lo scorso aprile il Palazzo di Vetro.
Violenze
Esecuzioni extragiudiziali, torture, presa di ostaggi, detenzioni illegali, incendi di case civili: sono le principali violazioni dei diritti umani documentati da Amnesty International, soprattutto nel Panjshir. Nell’agosto 2021, membri delle forze di sicurezza del precedente governo sono fuggiti nella provincia orientale con armi e attrezzature e si sono uniti al Fronte di resistenza nazionale guidato da Ahmad Massoud figlio dell’omonimo Leone del Panjshir.
Sicurezza
Kabul si è sempre trincerata dietro il rafforzamento della sicurezza per difendere il proprio operato, ma le perplessità non mancano. La principale sfida rimane l’Isis-K (o Isis Khorasan), il braccio centroasiatico del Califfato, indebolito dal 2021 ma non completamente sradicato. Decine di attacchi compiuti dal gruppo terroristico a Kabul e in altre parti del Paese hanno preso di mira alcuni leader chiave dei talebani. Oltre ad essere aumentati gli attacchi contro luoghi di culto e territori abitati dalla minoranza sciita Hazara. L’uccisione del leader di Al-Qaeda Ayman al-Zawahiri avvenuta il 31 luglio 2022 da parte di un drone statunitense a Kabul ha dimostrato inoltre che Al-Qaeda è ancora presente in Afghanistan nonostante il ripetuto diniego dei talebani, al contrario di quanto si erano impegnati di fare i talebana nell’accordo di Doha del 2020. A questo si aggiungono le tensioni col vicino Iran che sono sfociate negli ultimi tempi in scontri armati. Si riteneva inoltre che il Pakistan avesse influenza sul movimento, poiché anche Islamabad aveva svolto un ruolo chiave nel portare gli eredi degli studenti delle Madrasse al tavolo del negoziato di Doha. Tuttavia, le relazioni tra Kabul e Islamabad sono peggiorate dopo che i talebani pakistani, noti come Tehreek-e-Taliban Pakistan (Ttp), hanno iniziato attacchi all’interno del Pakistan secondo cui i militanti del Ttp insieme alle loro famiglie vivono nelle province di Kunar, Nangarhar, Paktia, Paktika dell’Afghanistan e da lì effettuano attentati terroristici transfrontalieri.
La penetrazione cinese
Dopo il ritiro degli Stati Uniti la Cina è stata il primo paese a intervenire in Afghanistan e ha annunciato all’inizio di quest’anno importanti investimenti nel paese dilaniato dalla guerra. A gennaio, la compagnia statale cinese Xinjiang Central Asia Oil and Gas Company ha firmato un contratto di 25 anni con Kabul per estrarre petrolio dal bacino del fiume Amul. Secondo i funzionari talebani, la compagnia cinese estrarrà petrolio da aree di 4.500 chilometri quadrati nelle province settentrionali di Sar-e-Pul, Jawzjan e Faryab, oltre a fornire lavoro a più di tremila afghani. Quest’anno Pechino investirà inoltre 150 milioni di dollari, che aumenteranno a 540 milioni di dollari nei prossimi cinque anni. La presenza cinese e la crescente influenza attraverso la sua diplomazia economica sono considerate importanti per sostituire il ruolo degli Stati Uniti. Molte joint venture sono state lanciate per aiutare la sua industria e l’economia afghana, la Cina inoltre sta anche facilitando i talebani a stabilire relazioni con altri paesi.
Frammentazione dell’Emirato
Nonostante gli sforzi, i talebani non sono riusciti a ottenere il riconoscimento globale poiché finora nessun paese ha preso atto della legittimità del regime talebano a Kabul. Alcuni Stati hanno nominato i loro diplomatici ad interim nelle ambasciate afgane, tra cui Pakistan, Cina, Russia, Qatar. La continua assenza del primo ministro talebano ad interim Mullah Hassan e la presidenza di tutte le riunioni importanti da parte del vice primo ministro mullah Abdul Kabir dimostrano che le differenze all’interno dei circoli talebani non fanno altro che acuirsi. Gli analisti ritengono che ci siano tre gruppi all’interno dei talebani, uno guidato dal leader supremo Mullah Haibatullah, il secondo guidato da Sirajuddin Haqqani e il terzo è guidato da Amir Khan Muttsqi, il ministro degli Esteri ad interim. Il mondo si divide tra chi rifiuta ogni riconoscimento o rapporto nei confronti dell’Emirato e chi invece ritiene che è necessario interloquire coi talebani poiché l’abbandono al loro destino potrebbe causare una seria minaccia e a uno scenario simile a quello precedente all’11 settembre 2001.(Ha collaborato Islamuddin Sajid)