La Lega adesso sfida la premier “La sua linea europea ha fallito”
15 Settembre 2023Giorgia d’Ungheria
15 Settembre 2023
Roma
Da Budapest, con a fianco il «buon amico Orbán», complice un tema che è nelle proprie corde, Giorgia Meloni lancia ufficialmente nel dibattito europeo una piattaforma politica basata sulla «difesa» di Dio e famiglia.
Il Demographic summit organizzato in Ungheria è il contesto che serviva alla presidente del Consiglio per rilanciare il suo progetto conservatore, ma spingendolo su concetti mai toccati prima così esplicitamente. Perché nel ribadire quella «identità» gridata più di un anno fa ai militanti spagnoli di Vox – «Sono una donna, sono una madre, sono cristiana…. » – , Meloni dinanzi al parterre di Budapest aggiunge: «Senza questa identità, siamo solo numeri. Una grande battaglia per chi difende l’umanità e i diritti delle persone è anche quella di difendere le famiglie, le Nazioni, è anche quella di difendere Dio e tutto ciò che ha costruito la nostra civiltà». Meloni si sente a casa. C’è la presidente ungherese Katalin Novák, «un’altra combattente», il presidente bulgaro Rumen Radev, il vicepresidente della Tanzania Philip Mpango. L’evento è benedetto, come da tradizione, dai capi delle quattro principali confessioni religiose del Paese (cattolica, chiesa riformata, evangelica-luterana, ebraica). Per la Chiesa cattolica, c’è l’arcivescovo metropolita di Esztergom-Budapest e primate d’Ungheria, Peter Erdo. La questione demografica, per lei, diventa la base di un discorso culturale. Certo, c’è la rivendicazione della centralità del tema nell’agenda di governo. La rivendicazione delle
prime misure, di aver fatto della famiglia una «priorità assoluta», il «riferimento di tutte le politiche », sebbene manchi ancora il test decisivo della prossima manovra, che dirà molto dello scarto tra propositi e fatti. Ma c’è anche altro. C’è la denuncia delle «sabbie mobili del mito della denatalità e di una impostazione culturale ormai diffusa, generalmente ostile alla famiglia », perché «fino a pochi decenni fa i figli si facevano anche in tempo di guerra o in situazioni di povertà».
Insomma, le Nazioni più sviluppate «corrono più velocemente verso il precipizio», e l’inversione non arriva solo con le misure economiche, bensì, a suo avviso, con una «svolta culturale».
L’arringa riguarda l’intero sistema di costruzione delle idee in Occidente: dal cinema alla pubblicità, la premier chiede un’altra narrazione in cui torni «l’immagine-tipo della famiglia con bambini», ora «sbiadita» perché la comunicazione privilegia un mondo «a misura di single ».
Eccole qui, a suo avviso, le ragioni dello «spopolamento». E l’«esempio da seguire», insiste, è proprio l’Ungheria di Orban. Una politica « familyfriendly » che in Italia è complessa da realizzare, ammette la premier. Perché lei, Meloni, afferma di sperimentare in prima persona la sensazione, talvolta, di «non farcela più» tra lavoro e famiglia. « Ma sapete cosa? Sono diventata più forte quando è nata mia figlia. Quello che faccio, lo faccio anche per lei».
Guai però a vedere nelle migrazioni una risposta alla denatalità. « È una narrazione che non condivido», nonostante una quota di «regolari » sia necessaria. E guai anche a «sostituire la
famiglia con lo Stato», come durante il «dominio sovietico».
La battaglia, conclude la premier, andrà combattuta in Europa. Anche se, quando dopo incontra in sede istituzionale il primo ministro Orbán, la premier sembra quasi voler condurre per mano l’amico ungherese in quell’Europa che insieme dicono di voler cambiare. La premier lo spinge verso una condanna netta dell’aggressione russa e insieme sottolineano «l’importanza di mantenere la forte unità degli Stati membri dell’Ue in un sostegno ampio e multidimensionale all’Ucraina». Anche sui migranti i toni non sono aggressivi. Una campagna elettorale identitaria, quindi. Ma con un obiettivo pragmatico: non farsi escludere dalla maggioranza Ue che verrà. Questo il progetto che parte da Budapest. E anche Orbán, se non vuole restare ai margini, dovrà tenere il doppio registro: identità sì, ma correggendo quelle posizioni che potrebbero tenere sbarrate le porte di Bruxelles.