Torna Mario.
Partiamo dal draghismo sostanziale della premier. Per il 2024 il governo vara una manovra con un po’ di maggior deficit per coprire il lato fisco: con questi chiari di luna Meloni non può certo pensare di presentarsi alle Europee dopo aver tolto 80-100 euro al mese in busta paga ai redditi medi e bassi (parliamo della conferma del taglio del cuneo fiscale già in vigore, che costa 9,9 miliardi). La premier, per darsi una spintarella nelle urne, ci ha messo sopra pure un taglietto dell’Irpef per la stessa fascia di reddito (4,5 miliardi il costo, pochi spiccioli a testa). Queste due misure però, cioè ben oltre metà della manovra 2024, sono finanziate solo per l’anno prossimo, perché dal 2025 torna Draghi: per convincere l’Ue a dare il via libera alla manovra l’esecutivo promette una correzione dei conti leggera nel 2025 ed enorme nel 2026, quando l’avanzo primario di bilancio (entrate superiori alle spese al netto degli interessi sul debito) dovrebbe arrivare a un cospicuo 1,6% del Pil, quasi 37 miliardi. Merito anche di una “rimodulazione delle spese”, anche detti “tagli”, che vale 7 miliardi solo quell’anno. Lo stesso governo ammette un effetto recessivo sul Pil nel 2026, ma è lecito attenderselo già nel 2025, quando il saldo primario sarà lo 0,7% del Pil (circa 50 miliardi nel biennio).
Ce lo chiede l’Europa.
Com’è noto, dal 1° gennaio tornano pienamente operativi i vincoli del Patto di Stabilità. Sì, ma quali? Con quelli vecchi la manovra italiana non ha speranza di passare e ripartirebbe il balletto della procedura d’infrazione per deficit (ora solo sospesa): non una bella prospettiva per un Paese che, tra aumento dei tassi e dello spread, ieri pagava a mercati nervosissimi il 5% sui suoi titoli decennali. Ancor meno se si pensa che lo “scudo” della Bce è vincolato proprio al rispetto dei vincoli di bilancio Ue. È però in discussione la proposta di riforma del Patto avanzata dalla Commissione europea e basata su piani di aggiustamento pluriennali (4 o 7 anni): se entrasse in vigore, dice l’Ufficio parlamentare di bilancio, il piano di Meloni e soci sarebbe “compatibile” con un aggiustamento operato in 7 anni (che comporta però anche l’impegno a riforme imposte da Bruxelles), meno con quello da 4 anni (“richiederebbe uno sforzo di bilancio maggiore” in caso di scenario sfavorevole). È appena il caso di ricordare che la Germania e i nordici chiedono modifiche più restrittive alla proposta della Commissione e che un accordo ancora non c’è.
Numeri ballerini.
Il vero problema di questa manovra è che è appesa nel vuoto. Le previsioni di crescita del governo italiano per il prossimo biennio sono tra le più ottimiste su piazza: basta che si materializzi un rallentamento del Pil per far saltare un edificio fragilissimo. Lo stesso ministro Giorgetti a questo proposito ha fatto riferimento ai prezzi energetici: “Le previsioni erano favorevoli alla discesa dei prezzi di gas ed elettricità, ma la situazione potrebbe evolvere in senso negativo”. In realtà lo ha già fatto: il petrolio “europeo” ieri quotava a 91 dollari al barile, il gas a 50 euro al megawattora (era a 35 euro a inizio ottobre), l’elettricità oltre i 150 euro al MWh contro i 105-115 di maggio-settembre. Una fiammata dell’energia è destinata a comprimere – ulteriormente – i consumi di famiglie e imprese (mentre secondo il governo sarà la domanda interna a trainare la crescita) e spingerebbe le Banche centrali almeno a prolungare la stretta monetaria, i cui effetti hanno appena iniziato a scaricarsi sull’economia reale. Solo un altro esempio: nel 2025-2026 dovrebbe essere il Pnrr, sempre secondo il governo, a spingere il Pil, ma anche qui è lecito avere qualche dubbio sul rispetto dei tempi di applicazione di un Piano la cui revisione è ancora in discussione a Bruxelles.
Viva Parigi.
“Servirà un’intesa franco-tedesca per uscire dall’impasse” sulla governance fiscale, ha detto un ministro francese. La nostra vera speranza è proprio la Francia, che ha presentato un bilancio ancor più in deficit del nostro e ha bisogno della riforma del Patto di Stabilità almeno quanto noi: questo, certo, sempre che la situazione non “evolva in senso negativo”…