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12 Novembre 2023di Paolo Di Stefano
La regione degli occhi comprende l’iride, la pupilla, la sclera, le palpebre, le ciglia, le sopracciglia, che insieme compongono lo sguardo. Dopo aver studiato da linguista le interiezioni e i codici gestuali, Isabella Poggi da anni si pone questa domanda: «Cosa si capisce dagli occhi?». Ne è nato un libro sorprendente: Parlare con gli occhi (Carocci). Per spiegare lo sguardo come forma di comunicazione, Poggi parte dalla mano a borsa, ovvero dal codice gestuale che per noi italiani, notoriamente, è ricchissimo. Ogni lingua dei segni, secondo Poggi, andrebbe studiata al pari di una lingua verbale, con tanto di fonologia, morfologia, sintassi. L’ultima sfida è estendere il concetto al sistema di comunicazione oculare, per individuare i tratti distintivi e significativi dello sguardo. Dunque, cosa si capisce dagli occhi degli altri?
«Gli occhi non sono solo lo specchio dell’anima, come diceva Cartesio. Non comunicano soltanto le emozioni, sia pure con molte sfumature. Gli occhi sono anche lo specchio della nostra mente e a volte della realtà esterna. Con lo sguardo si parla, e io cerco di studiare le sue potenzialità di significato. Lo sguardo dà informazioni anche sugli scopi di chi guarda e sulle sue credenze, sulle cose che vuole e su ciò che sa e pensa».
Per esempio?
«Attraverso le espressioni degli occhi comunico il grado di certezza che attribuisco a ciò che sto dicendo. Se affermo qualcosa alzando un po’ le sopracciglia senza aprire troppo gli occhi comunico una certa perplessità: “Non sono sicuro di ciò che dico”. È uno sguardo che può essere parafrasato con “forse”. Il lieve aggrottamento delle sopracciglia comunica più sicurezza: “Lo dico seriamente”. Queste osservazioni nascono da esperimenti diretti e dallo studio di molti video».
Gli occhi offrono un sovrappiù di significati ai nostri discorsi?
«Certo, lo sguardo comunica con quanta forza affermo le cose che sto dicendo. Per esempio, uno studente che all’esame prima di rispondere punta gli occhi verso l’alto manda un indizio negativo. Poi naturalmente diamo informazioni sui nostri scopi: se fisso gli occhi sul mio interlocutore, lo voglio sfidare. Parlando in tono supplichevole, muoverò in alto le sopracciglia: le sopracciglia a tettoia comunicano tristezza. Come dire: “Se rifiuti la mia supplica sono spacciato”. Con gli occhi ti anticipo una mia emozione».
I personaggi più rivelatori da questo punto di vista?
«I personaggi più interessanti da analizzare sono gli attori e tra gli attori, naturalmente, molti politici. Prendiamo due facce di Meloni nel battibecco in tv del 15 marzo con Schlein, che chiedeva il salario minimo. Meloni risponde: “Io credo che sia molto più efficace estendere la contrattazione collettiva, perché la ragione per cui i salari sono inadeguati è che la tassazione è troppo alta per le imprese che devono assumere…”. La prima parte del discorso è un crescendo che diventa quasi un ruggito quando arriva alla parola “tassazione”. Il passaggio dello sguardo è molto significativo. Dalla fronte aggrottata con rughe orizzontali dovute alle sopracciglia molto innalzate, nella classica espressione enfatica, si arriva a uno sguardo molto diverso: con la parola “tassazione” le sopracciglia si abbassano e si ravvicinano producendo delle rughe verticali sulla fronte. È la faccia della rabbia. La premier è una grande performer».
Dunque, ogni espressione è traducibile in una formula verbale?
«Si tratta di sistemi di significazione, e come tali posso tradurre ogni espressione degli occhi, come ogni gesto, in una frase di senso compiuto».
Gli occhi servono per vedere, guardare, sentire, pensare e comunicare. Ci sono aspetti involontari e intenzionali?
«Mi ha colpito il caso di un politico come Cirino Pomicino durante il processo Mani pulite. Interrogato in aula, teneva su Di Pietro un costante sguardo di sfida e di superiorità, con una specie di ghigno, mento sollevato e occhi fissi sul pubblico ministero. Come dire: “Non ti temo”… A un certo punto è comparso uno sguardo opposto, perso nel vuoto, quasi di sgomento di fronte alle domande insistenti di Di Pietro: un attimo di cedimento nell’attitudine attoriale».
Una perdita di controllo?
«Analoga a quella di un adolescente che guarda una sua coetanea: uno sguardo involontario, che magari preferirebbe nascondere. Nel caso di un ragazzo, ovviamente, si aggiunge la dilatazione delle pupille, essendo una comunicazione biologica dovuta all’eccitazione erotica».
Altri casi interessanti?
«Salvini e Cacciari usano molto, in segno di insofferenza, alzare gli occhi al cielo con un sospiro o uno sbuffo. Non è un’abitudine solo italiana. Anche in Theresa May, poco prima della sfiducia, si sono visti occhi del genere. È un commento corporeo che scredita la cosa detta dall’interlocutore, ma spesso scredita anche l’interlocutore: lo si è visto con Salvini di fronte a Boldrini o con Formigoni nei confronti di Margherita Hack. Si chiama fallacia ad hominem».
Esistono occhi senza sguardo?
«L’umano per sua natura è comunicativo, e la faccia è forse il suo primo strumento d’espressione. Dunque, è molto raro, quasi inesistente il caso in cui la nostra faccia sia completamente silente. Accade giocando a poker: si parla in questo caso di blank face. Oppure accade quando vuoi fare dell’ironia e usando una faccia “vuota” vuoi allertare l’interlocutore sulla tua intenzione. Nel comunicare disponiamo di molti strumenti: parole, voce, gesti, faccia, sguardo, postura. Raramente li usiamo tutti insieme».
Schlein è meno espressiva di Meloni?
«Non si può dire che Schlein usi occhi senza sguardo. Diciamo che Meloni ha una tavolozza di sguardi più ricca ma anche più aggressiva, mentre gli sguardi di Schlein sono meno vari e più discreti».
Gli occhi possono tradire?
«Possono assecondare quel che uno vuole dire, ma possono anche tradirlo rivelando l’inganno delle sue parole. Tra gli indizi di inganno c’è lo sbattere frequente delle palpebre, oppure altre microespressioni di imbarazzo».
Si può influenzare con gli occhi?
«Possiamo chiedere, ordinare, supplicare, minacciare attraverso uno sguardo che chiamiamo performativo. C’è lo sguardo del maestro d’orchestra che ti fulmina quando fai un errore in concerto. Ci sono gli ordini perentori realizzati con un’occhiataccia minacciosa. Un argomento da approfondire è lo sguardo magnetico, un’espressione visiva del carisma, esempio massimo di influenzamento. Studiando i video storici impressiona lo sguardo magnetico di Hitler: non potevi sfuggirgli, ti soggiogava».
Lei auspica uno sguardo magnetico nell’insegnante…
«L’insegnante dovrebbe essere non un istrione, ma un bravo attore, perché l’attore riesce a suscitare l’attenzione, che è l’anticamera dell’apprendimento. Lo studente ha bisogno come l’aria di un minimo di sorpresa. Noi abbiamo studiato l’efficacia delle sopracciglia che si innalzano e si aggrottano, delle espressioni facciali, dello sguardo del docente. L’occhio del maestro ingrassa l’allievo».
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