« Peu nous importe désormais que quiconque nous aime »
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19 Novembre 2023
di Paolo Conti
«Il collegamento tra arte e impegno sociale e civile è un tema che, in campo internazionale, è molto frequente e visibile. Da noi in Italia c’è sempre stato una sorta di pregiudizio. Nella nostra storia l’arte è associata al bello, all’estetica. Questa mostra vuole testimoniare che, invece, l’impegno italiano è sempre esistito: esplicitamente, implicitamente, inconsciamente. Un’occasione per riflettere e confrontarsi». Ilaria Bernardi, storica dell’arte e curatrice (ha alle spalle solide collaborazioni con Germano Celant e con Carolyn Christov-Bakargiev al Castello di Rivoli-Museo d’Arte Contemporanea) firma una mostra dedicata al tema allestita in una sede fortemente simbolica.
Si tratta di Arte italiana e diritti umani che si aprirà il 4 dicembre al Palazzo delle Nazioni a Ginevra nell’ambito delle celebrazioni per il 75° anniversario della Dichiarazione universale dei Diritti umani (10 dicembre 1948) e della campagna promossa, per la ricorrenza, dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani. Un’iniziativa presentata dal ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale in collaborazione con Associazione Genesi presieduta da Letizia Moratti. Il coordinamento della mostra è dell’impresa culturale Suazes con Silvana Editoriale. Il progetto di mostra presentato dall’Italia a Ginevra è stato scelto, tra diverse proposte avanzate anche da altri Stati membri, dalla commissione speciale dell’Onu incaricata di indicare il programma culturale più adeguato per l’anniversario e artisticamente più significativo.
«È questa l’essenza della diplomazia culturale: utilizzare la nostra arte, la nostra cultura, il nostro patrimonio per esprimere un messaggio politico a difesa dei nostri valori fondamentali», commenta Alessandro De Pedys, direttore generale per la diplomazia pubblica e culturale alla Farnesina. La mostra verrà allestita nel salone di fronte alla Sala del Consiglio dei Diritti umani: ogni artista avrà un suo spazio, protetto da tramezzi temporanei, in cui verranno esposte una o due sue opere dedicate a un singolo capitolo del tema dei diritti, così da fare procedere il visitatore per tappe, tra arte visiva e riflessione sui testi che la accompagneranno.
Ilaria Bernardi ha selezionato sedici artisti italiani di diverse generazioni. Italiani per nascita o per naturalizzazione dopo essere arrivati al mondo in altri continenti e approdati qui con l’immigrazione. Altri ancora, pur rimanendo italiani, hanno scelto di lavorare all’estero: elementi narrativi della mostra — voluti e importanti — per sottolineare un più contemporaneo significato di cittadinanza.
Dunque, le diverse generazioni. Tre senior, anzi tre riconosciuti protagonisti della scena artistica italiana, che si sono affermati nel secondo dopoguerra e quindi dopo la promulgazione della Dichiarazione universale: Emilio Isgrò, Mimmo Jodice e Michelangelo Pistoletto. Gli altri tredici (Stefano Arienti, Rossella Biscotti, Monica Bonvicini, Danilo Correale, Binta Diaw, Rä di Martino, Irene Dionisio, Victor Fotso Nyie, Silvia Giambrone, Elena Mazzi, Francis Offman, Silvia Rosi, Marinella Senatore) sono emersi negli ultimi trent’anni, dopo l’emanazione della successiva Dichiarazione e del Programma d’azione di Vienna del 1993, due documenti che rinnovarono l’impegno comune per individuare gli strumenti giuridici più adatti ai tempi per applicare nel concreto la Dichiarazione del 1948.
Il contributo delle nuove generazioni (l’artista italosenegalese Binta Diaw è nata nel 1995; la più giovane del gruppo) si accosta con notevole efficacia narrativa a chi occupa la scena dell’arte italiana da decenni proponendo però un unico filo conduttore, proprio nel segno dei diritti umani.
I tre grandi nomi dimostrano quella capacità profetica tipica dei veri artisti. Il tema della sostenibilità ambientale è affidato a un riconosciuto segno contemporaneo, un classico citato in tutto il mondo come La Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto, del 1967, forse la prima opera d’arte contemporanea italiana che abbia costretto il grande pubblico a riflettere sul disastro ambientale (nel lontano 1967 questione praticamente sconosciuta). Emilio isgrò, con le sue tre chine sull’Enciclopedia Treccani, del 1970, altro classico contemporaneo (volumi numeri II, Dinastia; IX, Radici; XIX, Italia) ci parla di diritto allo studio così come fece nella Biennale di Venezia del 1972 con gli stessi strumenti, le poetiche e ormai iconiche cancellature. Mimmo Jodice, con i suoi Atleti di Ercolano del 1985, ci fa ancora riflettere sull’importanza nodale che ha la tutela del patrimonio culturale nel panorama dei diritti, per non disperdere la memoria e le radici, i fondamentali modelli estetici.
Ed ecco le nuove generazioni. Stefano Arienti, con i suoi giochi di colore su carta tra luce e ombra (Meridiane, 2020) parla di diritto a un ambiente sano, pulito e sostenibile. Binta Diaw usa gli avambracci e le mani di una donna, con il rinvio alla pianta della mangrovia (Paysages Corporels, 2022) per affrontare il multiculturalismo. E con lei Victor Fotso Nyie (radici familiari in Camerun) insisterà con Observer les étoiles , 2021, sull’ identità culturale con la scultura in terracotta e oro che raffigura una bambina addormentata a terra. Rossella Biscotti (con Alfabeto, 2018) mette in gioco il diritto alla salute: una lastra di cemento con le tappe della sua riabilitazione dopo un incidente. La violenza domestica è narrata da Monica Bonvicini con La casa è dove lasci la cintura del 2019 (cinture da uomo, oscure e minacciose). A Danilo Correale il tema della libertà di opinione e di espressione: locandine immaginarie di sei film bloccati dalla censura (Diranno che li ho uccisi, 2017-2018). Rä di Martino parla di tutela dei bambini con il video L’immagine di noi stessi, 2013, protagonista una bimba. Irene Dionisio affronta la tutela dei diritti umani nell’età digitale (e del Covid) con i sei quadrati digitali di una Natura morta (2023). Silvia Giambrone con Specchio, 2021, ci porta all’uguaglianza. Elena Mazzi, con l’installazione di un alveare, approda all’agricoltura sostenibile (In viaggio verso il Sud/Imparando a essere nomadi, 2017). Francis Offman espone la libertà di movimento con un efficace Senza titolo (2019-2021). A Silvia Rosi il compito di tornare sull’identità culturale con dittico fotografico (Autoritratto nei panni di mia madre al telefono, Autoritratto nei panni di mio padre al telefono, 2019) legato all’emigrazione della sua famiglia dal Togo. Marinella Senatore ricorda la durezza del lavoro in miniera in Sicilia, a Enna, col video Nui simu- Quelli siamo noi, 2010 per ricordare il diritto al lavoro dignitoso.
Tante e diverse tessere di un unico mosaico artistico ma insieme civile: quello dei diritti umani. Che dovrebbero essere uguali per tutti.
https://www.corriere.it/la-lettura/