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Von der Leyen e Metsola: sfidate le previsioni, ora decideranno gli europei chi arriva e non i trafficanti.
Le Ong parlano di diritto d’asilo a rischio. Su Dublino novità minime
Bruxelles
Dopo quasi dieci anni di discussioni, alla fine l’Europa è arrivata al traguardo sul Patto sulla migrazione. Perché, al termine di giorni di estenuanti negoziati e notti insonni, il Consiglio Ue (che rappresenta gli Stati membri) e il Parlamento Europeo hanno finalmente trovato l’accordo finale. Con l’intesa arrivata alle prime ore di ieri, l’approvazione formale nei primi mesi del 2024 – giusto in tempo prima delle Europee – da parte delle due istituzioni i Ue dovrebbe essere una formalità. Trattandosi di regolamenti, saranno poi immediatamente in vigore dalla pubblicazione in Gazzetta, anche se ci saranno tempi più lunghi per l’applicazione effettiva. Un’intesa resa possibile dall’accordo «miracolo » dei ministri dell’Interno dei Ventisette (preso a maggioranza, con il no di Polonia e Ungheria) l’8 giugno a Lussemburgo. Ieri il premier ungherese Viktor Orbán ha ribadito il suo no (senza conseguenze visto che non qui non c’è diritto di veto): « Respingiamo – ha detto – questo patto sull’immigrazione con la massima fermezza ». I vertici Ue, invece, esultano. « La migrazione – ha dichiarato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che aveva presentato il Patto il 20 settembre 2020 – è una sfida europea che richiede soluzioni europee». E «il Patto garantirà una risposta europea efficace, saranno gli europei a decidere chi arriva e chi può restare nell’Ue, non i trafficanti ». « Il 20 dicembre 2023 – ha dichiarato la presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola – passerà alla storia. Ancora una volta l’Europa ha sfidato le previsioni » .
Il Parlamento ha dovuto ingoiare le posizioni degli Stati membri. Già da tempo ha desistito dalla richiesta (cara anche all’Italia) di una redistribuzione obbligatoria e automatica dei migranti irregolari in caso di crisi. Rimane il testo concordato a giugno dai ministri, e cioè la «solidarietà obbligatoria » ma «flessibile» nei confronti dei Paesi Ue sotto pressione: gli Stati dovranno o accogliere in totale 30.000 migranti l’anno (ciascuno secondo una chiave di distribuzione) o pagare 20.000 euro per ogni migrante non accolto.
Un punto va sottolineato: il principio del vecchio Regolamento di Dublino che il Patto avrebbe dovuto superare, e cioè che responsabile del migrante irregolare è in primo luogo lo Stato Ue di primo approdo, in buona sostanza rimane. Unica novità: si terrà conto di eventuali
parenti o legami già presenti in altri Stati membri. E poi c’è la questione delle tutele dei diritti umani, cui l’Aula Ue aveva insistito. Il Parlamento non vedeva di buon occhio la « procedura di frontiera» prevista dal nuovo Regolamento sull’asilo, e cioè una procedura accelerata da concludere entro massimo 12 settimane per i migranti irregolari provenienti da Paesi terzi con un tasso di riconoscimento dell’asilo sotto il 20% in media (50% in situazione di crisi), in genere da rimpatriare. E aveva chiesto (come anche la Germania), di escludere dalla procedura le famiglie con bambini. Nel testo finale sono esclusi solo i minori non accompagnati, le famiglie solo se ci sono problemi di accoglienza. Per varie Ong, a rischio è lo stesso diritto all’asilo, Bruxelles nega. Il Parlamento ha almeno ottenuto che ogni migrante avrà diritto a un sostegno legale e ci sarà un monitoraggio del rispetto dei diritti fondamentali. Altro punto problematico per il Parlamento e varie Ong, è il trattenimento in centri chiusi dei migranti irregolari nel quadro della procedura di frontiera. Il Regolamento sull’asilo impone agli Stati membri di avere «adeguati» alloggi (avranno tempo tre anni per ottemperare), per evitare il sovraffollamento. Varie organizzazioni non governative vi leggono una detenzione di fatto. In particolare, secondo Amnesty, l’accordo farà «arretrare la legislazione europea in materia di asilo di decenni» e porterà a «una maggiore sofferenza umana».
Rimangono infine pesanti oneri per gli Stati di prima linea come l’Italia. Il regolamento sullo screening impone una identificazione e registrazione di tutti i migranti, anche in caso di crisi, e questi Stati dovranno continuare a riprendersi i migranti spostatisi illegalmente in altri Paesi Ue (unica deroga: se le quote di ridistribuzione non vengono soddisfatte). Infine, i Paesi di prima linea dovranno provvedere ai centri di accoglienza. Insomma, molte criticità, ma almeno un primo passo verso un sistema europeo.