C’è stato un passaggio nel discorso di Mattarella – alla cerimonia di inaugurazione di Pesaro capitale italiana della cultura 2024 – che più di tutte ha catturato l’attenzione. «La cultura non sopporta restrizioni o confini, pretende il rispetto delle opzioni di ogni cittadino, respinge la pretesa, sia di pubblici poteri o di grandi corporazioni, di indirizzare le sensibilità verso il monopolio di un pensiero unico». Dice proprio pensiero unico e il tema, in effetti, è più attuale che mai. E non solo per il dibattito sulla supremazia delle grandi multinazionali della rete che appiattiscono le opinioni e hanno la forza di portarle verso un’unica direzione ma perché siamo anche in un tempo in cui si discute di egemonia culturale quasi come tratto necessario del potere politico.
Ecco, al capo dello Stato appare un approccio sbagliato se non fuorviante. Perché la cultura, dice, ha poco a che fare con un’egemonia ma piuttosto con la libertà e la diversità. «Se la cultura è sapere, creatività, emozione, passione, sentimento, ebbene, è il presupposto delle nostre libertà, inclusa quella di stare insieme». Un richiamo ai valori della Costituzione ma pure ai tratti storici italiani che nascono prima della Carta e affondano nelle differenti tradizioni culturali dei Comuni, nella miscela di popoli che hanno abitato la penisola. «È l’espressione della pluralità delle culture che fanno così attraente la nostra Patria e che rendono inimitabile la nostra identità». Allo stesso modo chi predica il culto delle proprie radici come chiusura ed esaltazione nazionalistica, secondo il capo dello Stato, sta tradendo il valore profondo del sapere e lo spirito identitario italiano che nei secoli si è proiettato verso l’esterno.
«La cultura è soprattutto apertura anche fuori dai confini senza chiudersi a riccio solo sulle tradizioni di ciascuno. Quella cultura che, proprio per la natura dei processi storici che hanno caratterizzato il progressivo divenire dell’Italia, è fatta di rapporti con i Paesi vicini, con gli altri popoli, con le aspirazioni proprie alla dimensione europea».
E il passaggio di testimone di capitale della cultura da Bergamo e Brescia nel 2023, a Pesaro nel 2024 è la prova di come città tanto diverse, per storia, economia, geografia, possano essere proiezione nazionale grazie a un collante che sta nel patto costituzionale. E in giorni in cui va al voto la legge sull’Autonomia differenziata, Mattarella ricorda come «l’Unità d’Italia ha trovato con la Repubblica e il conseguente rispetto del sistema delle autonomie – per millenni, tanta parte della nostra tradizione – la possibilità di raccogliere il meglio delle tradizioni civiche delle nostre popolazioni e di esprimerle e consolidarle nei valori di coesione sociale alla base del nostro patto costituzionale».
Dal rispetto delle diversità e dal rifiuto degli odi che – dice Mattarella – «percorrono distanze più rapidamente che le armi» l’approdo verso la pace diventa possibile. «La cultura è un lievito che può rigenerare la pace e con essa i valori umani che le guerre tendono a cancellare indotti dagli estremismi nazionalistici». Il riferimento è alle guerre a un passo da noi, che ci riguardano perchè l’Europa «è tornata a vivere con la pace e nella pace trova la sua identità».
Ma ieri sotto i riflettori c’era Pesaro dove «inizia un sogno operoso» dice Mattarella legando il nome della città a Rossini «uno dei grandi della musica europea, simbolo affascinante dell’Italia che stava sorgendo». Durante la cerimonia è stato letto un messaggio della senatrice Segre che ha legami familiari con la città e soprattutto il ministro Sangiuliano ha parlato di Pesaro come «di esempio brillante di Rinascimento italiano, di convivenza tra culture e mondi produttivi, di pragmatismo che si lega al pensiero e all’arte e alla musica».