Alla fine, ha ceduto. Dopo mesi di negoziazioni, il premier ungherese Viktor Orbán ha votato, giovedì scorso, a favore della revisione del quadro finanziario pluriennale dell’Unione europea (Ue) che prevedeva la creazione di un fondo di 50 miliardi di euro a favore dell’Ucraina (per la durata di quattro anni). La domanda che si pongono a Bruxelles è: come contrastare in futuro Viktor Orbán? La domanda che mi pongo qui è: perché Viktor Orbán contrasta sistematicamente l’Ue?
Per alcuni, la contrasta per ragioni strumentali. Orbán usa tutti gli strumenti che l’Ue gli mette a disposizione (a cominciare dal potere di veto) per negoziare vantaggi, fermandosi quando ha ottenuto i suoi obiettivi. Sicuramente, Orbán è un leader opportunista, tuttavia molti dei vantaggi ottenuti dal suo Paese sono risultati dal funzionamento regolare dell’Ue e non delle sue minacce (dal 2004, data di entrata nell’Ue, l’Ungheria ha ricevuto ogni anno da quest’ultima finanziamenti superiori al 2 per cento del proprio Pil).
di Sergio Fabbrini
Alla fine, ha ceduto. Dopo mesi di negoziazioni, il premier ungherese Viktor Orbán ha votato, giovedì scorso, a favore della revisione del quadro finanziario pluriennale dell’Unione europea (Ue) che prevedeva la creazione di un fondo di 50 miliardi di euro a favore dell’Ucraina (per la durata di quattro anni). La domanda che si pongono a Bruxelles è: come contrastare in futuro Viktor Orbán? La domanda che mi pongo qui è: perché Viktor Orbán contrasta sistematicamente l’Ue?
Per alcuni, la contrasta per ragioni strumentali. Orbán usa tutti gli strumenti che l’Ue gli mette a disposizione (a cominciare dal potere di veto) per negoziare vantaggi, fermandosi quando ha ottenuto i suoi obiettivi. Sicuramente, Orbán è un leader opportunista, tuttavia molti dei vantaggi ottenuti dal suo Paese sono risultati dal funzionamento regolare dell’Ue e non delle sue minacce (dal 2004, data di entrata nell’Ue, l’Ungheria ha ricevuto ogni anno da quest’ultima finanziamenti superiori al 2 per cento del proprio Pil).
Per altri, la “testardaggine” di Orbán è un tratto storico dei magiari. Secondo Caroline de Gruyter (Foreign Policy), già durante l’impero austro-ungarico, gli ungheresi si erano distinti per una continua trattativa nei confronti dell’imperatore Francesco Giuseppe. «Noi ungheresi – sono parole dell’ambasciatrice Anna Siko – siamo allergici verso coloro che ci dicono cosa fare». Anche all’interno dell’Ue, ha spiegato la storica francese Catherine Horel nel suo volume sulla “nazione ungherese” del 2021, gli ungheresi tendono a fare il passo più lungo della gamba. Tuttavia, l’attitudine a fare la pipì fuori dal vaso (europeo) non è solo degli ungheresi. Però gli ungheresi la fanno sulla base di una visione ideologica fatta di “democrazia illiberale” (all’interno) ed “Europa delle nazioni” (all’esterno). È la loro alternativa al liberalismo che ha ispirato la ricostruzione degli Stati europei occidentali e l’avvio dell’integrazione sovranazionale nel secondo dopoguerra.
Cominciamo dalla democrazia illiberale. Viktor Orbán è diverso da un leader della destra conservatrice e nazionalista europea. Si pensi al Tory Party nel Regno Unito, un partito conservatore che si è sempre riconosciuto nel liberalismo del proprio Paese, un partito nazionalista che ha interpretato la nazione come una comunità civica. Viktor Orbán è invece un conservatore che non accetta i principii dello Stato di diritto e del pluralismo delle informazioni. Da quando è al potere (2010), beneficiando di una maggioranza costituzionale nel Parlamento, il suo partito (Fidesz) ha operato con sistematicità per svuotare (con leggi) l’indipendenza del potere giudiziario, oltre che per neutralizzare l’indipendenza dei media, dei centri culturali o delle università (come la Central European University costretta a lasciare Budapest per trasferirsi a Vienna). Inoltre, il nazionalismo di Fidesz non ha un carattere civico, bensì etnico. La costituzione ungherese del 2011, rivista nel 2016, afferma che il popolo ungherese è l’espressione di una comunità omogenea, che ha le sue radici nella tradizione magiara, che ha un’identità esclusivamente cristiana, che difende i valori della famiglia costituita dal matrimonio tra uomo e donna. Tutti coloro che sono “disomogenei” con tali tratti identitari (minoranze linguistiche, minoranze sessuali, minoranze religiose) sono necessariamente ai margini della comunità nazionale. Nello stesso tempo, una nazione etnica non può accettare di essere inquinata da immigrati, in particolare di religione o cultura mussulmane. La nazione etnica è inconciliabile con il liberalismo, in quanto quest’ultimo si basa sul riconoscimento dei diritti individuali di tutti membri della società e sulla loro protezione attraverso un sistema di corti costituzionali e giudiziarie tenute a far rispettare i principi fondam entali anche a chi non vuole rispettarli.
Vediamo ora l’Europa delle nazioni. Avendo conosciuto i drammi generati dal nazionalismo etnico (a partire dell’Italia fascista e dalla Germania nazista), le democrazie dell’Europa occidentale postbelliche hanno costruito un sistema di contenimento della sovranità popolare, non solo all’interno ma anche al loro esterno. L’Ue è l’espressione del progetto di contenere le pulsioni illiberali del nazionalismo, di addomesticare il populismo del popolo, senza negare l’esistenza delle storiche identità nazionali. Orbán, invece, rifiuta la logica del progetto sovranazionale, interpretando l’Ue come un sistema imperiale, utile però a distribuire risorse materiali. Contrariamente agli inglesi che sono usciti dall’Ue, Viktor Orbán sa che il suo Paese non può diventare indipendente. Come il cuculo, usa il nido costruito da altri (l’Ue) per depositare le sue uova (le sue richieste accompagnate da relative minacce), facendole crescere senza distruggere la paglia che le riscalda. Di qui, il paradosso della sua Europa delle nazioni. Per Orbán, l’Ue dovrebbe dissolversi in un’alleanza di Stati sovrani, ma continuando a trasferire risorse all’Ungheria. Come è possibile?
Insomma, Orbán non è solamente un negoziatore testardo. È un leader che esprime una critica radicale ai fondamenti della democrazia liberale e dell’integrazione sovranazionale. Il suo contrasto all’Ue è strutturale, non contingente. Eppure, nella trattativa di giovedì scorso, Giorgia Meloni gli ha proposto di entrare nel raggruppamento dei conservatori europei che lei presiede. Mah.