Questa è la terza volta che la difesa di Assange si appella alla High Court. Stavolta la Corte salverà in extremis Julian Assange? Alle nove di mattina di ieri, primo giorno di dibattimento, noi giornalisti siamo stati ammessi all’udienza e siamo stati invitati a salire su una stretta scala a chiocciola in pietra, stile castello di Hogwarts della saga di Harry Potter, in quel maestoso edificio gotico-vittoriano che è l’Alta corte per assistere all’udienza da una galleria con austeri sedili di legno, sprovvista delle più basilari dotazioni del Ventunesimo secolo: non un tavolo dove appoggiare i nostri computer o prendere appunti, non una presa elettrica. Alle 10:30 quando l’udienza davanti ai due giudici della High Court è iniziata, riuscire a capire una sola parola di quello che veniva discusso era letteralmente impossibile, tanto che alcuni reporter hanno mollato. Solo nel pomeriggio siamo riusciti a seguire il dibattimento in modo adeguato. Una delle ragioni per essere lì di persona era osservare da vicino le condizioni fisiche di Julian Assange: l’ultima volta che noi giornalisti l’abbiamo visto era l’ottobre del 2021, quando si era collegato in videoconferenza dalla prigione di Belmarsh, in cui è detenuto dall’11 aprile 2019, in attesa che la giustizia inglese decida sulla sua estradizione. Quell’ottobre del 2021, Assange era apparso in condizioni terribili: fortemente invecchiato, tanto da sembrare un anziano malato e depresso. Avremmo saputo soltanto dopo perché era in quelle condizioni.
Ieri invece non era proprio in aula: stava male. Nel corso dell’udienza di ieri i due legali di Assange, Mark Summers ed Edward Fitzgerald hanno illustrato gli argomenti della difesa, mentre stamani sarà l’accusa, il governo degli Stati Uniti, a presentare le sue. Summers ha sottolineato come in primo grado la giudice Vanessa Baraitser non avesse valutato in modo adeguato l’interesse pubblico delle rivelazioni di WikiLeaks per cui Julian Assange è incriminato e rischia 175 anni di prigione negli Stati Uniti: si tratta di rivelazioni che hanno permesso di far emergere crimini di guerra, torture, uccisioni stragiudiziali con i droni, così importanti, che per esempio hanno permesso di far cessare gli attacchi con i droni in Pakistan. Summers ha argomentato come queste attività giornalistiche siano protette dall’articolo 10 della Convenzione europea sui Diritti dell’uomo. La difesa di Julian Assange ha anche affrontato in grande profondità tre questioni chiave: i piani della Cia – allora comandata dal trumpiano Mike Pompeo – per ucciderlo o rapirlo; le dichiarazioni delle autorità americane secondo cui Assange, non essendo un cittadino americano, non è protetto dal First amendment, la fortissima protezione costituzionale che gli Stati Uniti garantiscono alla stampa, e che nel 1971 permise al New York Times e al Washington Post di pubblicare i Pentagon Papers; infine il rischio che le autorità americane, una volta trasferito Assange sul suolo degli Stati Uniti, possano riformulare le accuse contro il fondatore di WikiLeaks in modo da prevedere la pena di morte.
Anche la fonte di WikiLeaks, Chelsea Manning, in un primo tempo era stata incriminata con l’accusa “di aver aiutato il nemico” che è punibile con la pena capitale. “È pura follia che in questa udienza stiamo a parlare delle ragioni per cui l’uomo che ha rivelato crimini di Stato, non dovrebbe essere mandato in prigione per 175 anni nella nazione che ha pianificato di rapirlo o assassinarlo. Quella stessa nazione di cui lui ha rivelato i crimini”, ha dichiarato il giornalista di WikiLeaks, Joseph Farrell al Fatto Quotidiano.