Da Berlusconi a D’Alema e Veltroni l’isola che anticipa il destino dei leader
27 Febbraio 2024Finisce il mito di Giorgia l’invincibile la destra rischia un rodeo senza regole
27 Febbraio 2024
di Massimo Franco
Non sarà un risultato di rilievo nazionale, ma il segnale è inequivocabile. Per la prima volta da quando ha vinto le Politiche a settembre del 2022, la destra vede la sconfitta: oltretutto da un cartello Pd-M5S più Avs, e a guida grillina. E, almeno politicamente, Giorgia Meloni perde più degli alleati. È vero che fino a notte fonda l’esito era apparso in bilico. Ma è stata la premier a scegliere, di più, a imporre il proprio candidato liquidando il governatore uscente della Sardegna; e a mobilitare l’intero governo con una presenza massiccia nella campagna elettorale.
Il ritorno alla realtà è bruciante. Meloni e la maggioranza debbono fare i conti con un piccolo scossone che numericamente può voler dire poco. Sul piano politico, però, promette di costringere lei e l’intera coalizione a una riflessione radicale. Troppa sicurezza di vincere. Troppa convinzione che bastasse un candidato qualsiasi per battere opposizioni unite quasi per caso, o per forza; e peraltro potenzialmente erose dalla lista di un velleitario «terzo polo». Eppure, le Politiche del 2022 avevano segnalato una specificità sarda, che regalava margini di manovra e di crescita a Pd e Cinque Stelle.
Sottovalutarla è costato il risultato di ieri. Probabilmente non ci sarà nessun contraccolpo immediato sul governo. È prevedibile, tuttavia, un’impennata della tensione tra alleati, in particolare tra FdI e Lega. La tentazione delle accuse reciproche si è avvertita appena ha cominciato a delinearsi una vittoria sul filo di lana di Alessandra Todde, del M5S, sul meloniano Paolo Truzzu. Si tratta della premessa di un chiarimento dei rapporti di forza, comunque finisca: anche se con la percentuale sotto il 4 per cento raggiunta dal partito ieri, Salvini non potrà alzare troppo la voce.
Semmai, dovrebbe essere indotto a rivedere l’intera strategia che lo ha sospinto all’estrema destra nel governo, e in contrasto costante con Palazzo Chigi. Il rifiuto di riconoscere la forza elettorale della premier lo ha portato a una resistenza sorda a livello locale; e allo scontro quasi quotidiano nell’esecutivo nazionale. La conflittualità non ha portato voti alla Lega, anzi. E ha proiettato un alone di non detto e di contraddizioni sull’intera coalizione. Forse Meloni non aveva alternativa se non rivendicare il proprio candidato, per rispettare il primato ottenuto nel 2022.
Il problema è come l’ha fatto, in Sardegna e altrove. L’assillo di marcare il territorio riscrivendo dovunque le gerarchie della maggioranza non ha contribuito ad avvicinare FdI, Lega e FI, spaventando i due alleati. Ma se analizzata con freddezza, la perdita della Sardegna dopo cinque anni di governo di centrodestra per paradosso potrebbe ritornare utile: sia in vista delle Europee di giugno, sia in una prospettiva meno breve. Di certo è necessaria una ricalibratura, che eviti ulteriori scontri nel governo e una consapevolezza più acuta del malessere sociale nel Paese: una situazione che in regioni come la Sardegna è particolarmente grave.
La riflessione
Sia il centrodestra sia l’alleanza Pd-Cinque Stelle devono fare riflessioni sul voto sardo. Con attenzione alle prossime scadenze
Quanto all’alleanza «per caso» tra Pd e Cinque Stelle, può celebrare un risultato insperato e imprevisto. Ma forse festeggia più Giuseppe Conte di Elly Schlein. La segretaria del Pd è autorizzata a zittire gli avversari che contestano da mesi la sua scelta di inseguire il grillismo. È col Movimento che la sinistra si avvicina alla vittoria, diventerà la sua replica agli scettici. Ma al tempo stesso le sarà meno facile rintuzzare l’accusa di subalternità al Movimento, perché in Sardegna il successo che si profila è a trazione grillina. E questo sarà usato da Conte per replicare lo stesso schema anche altrove: in altre città e regioni.
L’elezione di Schlein un anno fa fu salutata come un modo per abbracciare e alla lunga svuotare il bacino elettorale dei Cinque Stelle: operazione che finora non solo non è riuscita ma ha dato un esito opposto. Conte che ieri sera è volato a Cagliari a abbracciare Todde, seguito da Schlein, è una conferma: il «laboratorio sardo» annuncia uno schema a doppio taglio. Sia perché getta un’ipoteca sulla forza che dovrebbe guidare un’eventuale alternativa, con il capo grillino nostalgico di Palazzo Chigi; sia perché è più facile stringere intese quando è in gioco un’elezione amministrativa. Se il traguardo sono le Politiche, lo sfondo cambia totalmente.
Bisogna raggiungere un simulacro di accordo anche sulla politica estera, sui rapporti con Ue e Nato; e limitare la deriva populista sulle misure economiche, senza rimbalzare verso la demagogia del primo e secondo governo Conte: quest’ultimo insieme col Pd di allora. Strada lunga e accidentata, tra una Schlein atlantista e un Conte «pacifista». Per questo il risultato della Sardegna dirà qualcosa anche sul voto europeo di giugno: su come si stanno assestando i pesi nelle opposizioni, e per suggerire a Meloni come correggere il percorso nel resto della legislatura. Le sarà indispensabile per mantenere consensi che i sondaggi mostrano più o meno intatti.