torino
Trent’anni di governo della città interrotti soltanto dal 2016 al 2021 dalla parabola di Chiara Appendino. La spia di qualcosa che si era guastato trattata invece come un incidente di percorso dopo il quale si poteva ricominciare come prima. Ed eccoli, al telefono, i capibastone del Pd torinese accapigliarsi per un posto nella giunta che Stefano Lo Russo sta componendo senza di loro. «Io non gli telefono perché lo mando affanculo completamente», si sfoga Salvatore Gallo al telefono con un altro dirigente del Pd. «Ma tu lo puoi fare. Dici… tagli fuori un gruppo che ti ha sostenuto dall’inizio?». L’epilogo è storia di questi giorni. Ma i semi affondano direttamente alla nascita del Pd, nel 2008.
I protagonisti sono già tutti in campo. Seconde o terze linee. Salvatore Gallo con i suoi figli Raffaele e Stefano è entrato da poco nella Margherita attraverso l’ex vice sindaco del primo Chiamparino, Marco Calgaro. Anche Mauro Laus è nella Margherita: guida una cooperativa, Rear, che offre servizi di vigilanza. Diventerà una figura centrale, al pari di Gallo, anzi di più: da qualche mese è indagato, l’ipotesi è che abbia utilizzato fondi di appalti pubblici ricevuti da Rear per finalità private. Ci sono i cattolici: la corrente che fa capo a Davide Gariglio – bacino elettorale in Gtt, la municipalizzata dei trasporti – e quella di Stefano Lepri. Sull’altra sponda, la Pec: sta per Placido (Roberto), Esposito (Stefano), Chiama (Carlo), che la guidano. Placido è un gran collettore di voti dai metodi spicci: con Laus condivide le origini lucane e i lucani – nel Pd degli ultimi quindici anni – diventeranno un’entità mitologica quando si parla di preferenze. Esposito è l’ex capogruppo dei Ds in Provincia, Chiama assessore al Lavoro, sempre in Provincia. Nella stessa area si erge la stazza di Aldo Corgiat, potente sindaco di Settimo Torinese, fortezza rossa. Sono gli ex Ds. È l’epoca di Chiamparino rieletto sindaco con quasi il 70%: del partito non si cura e il partito lo vive con insofferenza e rassegnazione ma si adegua a una popolarità travolgente. Nel solco di quegli anni germoglia il partito di oggi.
Il 2011 è un punto di svolta. Si fa avanti Piero Fassino ma sta nascendo la stella di Matteo Renzi e anche a Torino c’è chi vorrebbe rottamare. Davide Gariglio si candida alle primarie, le vecchie alleanze si scompongono. Con Fassino c’è una parte della Pec (Enzo Lavolta, che coordinerà la sua campagna elettorale e sarà assessore) e tutto il corpaccione del vecchio Pci. Ma non solo. A Giancarlo Quagliotti, ex capogruppo del Pci in Comune negli anni 80, Fassino delega la gestione dei rapporti politici sul territorio. Gallo è un suo vecchio sodale: entrambi arrivano da Sitaf, la società che gestisce la Torino-Bardonecchia. Per correre alle primarie servono le firme degli iscritti e in una mattina Gallo ne porta quasi 400 a Fassino. Un anno dopo ci sono le primarie per chi siederà in Parlamento e il copione si ripete: si vota il 29 dicembre, l’ordine di scuderia è sostenere Cesare Damiano (storico amico di Fassino) che travolge tutti (6 mila preferenze, 2 mila in più della seconda arrivata).
Per ritagliarsi uno spazio Laus sceglie Gariglio. Ma quando Fassino lo doppia e si insedia a Palazzo Civico Laus comincia la sua marcia di avvicinamento ai “fassiniani” che nel frattempo – sempre tramite la regia di Quagliotti e le tessere di Gallo – hanno portato Fabrizio Morri alla guida del partito provinciale. Comincia l’era Gallo-Laus.
A Roma invece è l’ora di Renzi. E le componenti sul territorio si riorganizzano. Gariglio e Lepri, che del rottamatore sono i sostenitori della prima ora, finiscono in Parlamento ma defilati. I renziani di Torino diventano i “fassiniani” che poi saranno lettiani e infine “bonacciniani”. Altro rimescolamento, i delfini abbandonano i padri: Daniele Valle, fino a pochi giorni fa in predicato di essere candidato alla presidenza della Regione, si sgancia da Gariglio avvicinandosi a Laus; l’ex segretaria Paola Bragantini, un tempo vicina a Placido, entra in orbita fassiniana così come Nadia Conticelli che nel 2014 su spinta di Gallo viene inserita nel listino bloccato di Chiamparino per la Regione. Oggi è nell’area Schlein, è capogruppo in Comune e potrebbe essere capolista alle regionali.
Nel 2014 Laus diventa presidente del Consiglio regionale: litiga un giorno sì e l’altro pure con il presidente Chiamparino; Gallo ha un figlio consigliere regionale e uno assessore a Torino. Il loro peso è sempre più determinante, così come l’intreccio politica-affari. Nel partito c’è chi accusa Laus di usare Rear per prendere voti. Stefano Esposito, eletto in Parlamento, conia lo slogan “partito delle autostrade”: ce l’ha con l’accoppiata Quagliotti-Gallo in Sitaf, azienda controllata dal gruppo Gavio. Esposito nel frattempo è passato con i renziani attraverso i giovani turchi di Matteo Orfini, componente di cui fa parte anche Chiara Gribaudo, oggi vice presidente nazionale del Pd, area Schlein. È un ultrà della Tav, accusa un pezzo del partito di essere afono, forse perché ogni anno che passa senza Tav ingrassa i conti di Sitaf. Dall’altra sponda puntano il dito sul suo stretto rapporto con l’imprenditore dello spettacolo Giulio Muttoni. Nel 2020 la procura li indaga entrambi: il processo è ancora in corso ed è al centro di uno scandalo dato che per anni Esposito è stato intercettato abusivamente.
I contendenti di una stagione escono di scena uno dopo l’altro, sacrificati da chi li aveva usati: nel 2022 Gariglio e Lepri vengono spediti a correre in due collegi durissimi e perdono, la stessa sorte era toccata nel 2018 a Esposito e Bragantini (che oggi fa la tassista e la presidente di Amiat, l’azienda dei rifiuti). Laus resta in piedi: prima deputato, oggi senatore.
Anna Rossomando e Andrea Giorgis, big della sinistra schierati ai vari congressi ora con Orlando ora con Cuperlo, si accontentano della quota riservata alle minoranze. Gli spazi contendibili nel partito si riducono: Gallo-Laus, poco si muove senza di loro nonostante l’abnegazione di migliaia di militanti, iscritti e dirigenti. Ed è il loro asse a reggere l’urto di Roma, che nel 2021 vorrebbe un candidato sindaco scelto con il Movimento 5 Stelle. Tengono duro su Stefano Lo Russo. È la loro garanzia per continuare a comandare nel partito (e non solo, almeno così credono). L’attuale sindaco è un animale strano: dal 2006 naviga la politica cittadina senza mai essere organico a nessuna corrente eppure sempre in prima linea, in fondo perché è tra i non molti ad avere le carte in regola. A lui Laus e Gallo delegano la riconquista di Palazzo Civico. A Laus va bene: incassa la presidenza del Consiglio comunale per Maria Grazia Grippo e un assessorato per Mimmo Carretta che però è molto di più di una persona a lui vicina: è stato la spalla di Lo Russo nei durissimi anni di opposizione ad Appendino. A Gallo va malissimo: si affanna con il solito Quagliotti, si rivolge a Fassino, in nome dei vecchi tempi: «Abbiamo anche chiamato Piero», dice al telefono con un altro degli storici fassiniani, Gioacchino Cuntrò, ex segretario provinciale, ex tesoriere, ex consigliere comunale. «Dice che gli ha parlato (a Lo Russo, ndr)», gli risponde Cuntrò. A schermare il pressing su Lo Russo è Daniele Valle e nell’area Gallo si fa largo l’idea di essere stati fregati da Laus. «Ma vada a fare in c…», sbotta Gallo riferendosi a Lo Russo. «E che competenza ha Carretta? Di sta m…». «Hanno costruito tutto così per controllare tutto loro. L’assurdo sai qual è? Che mettono dentro quelli che hanno cercato di inc… e tengono fuori i sostenitori», chiosa Cuntrò. Gallo vede l’ombra della fine della sua influenza sul partito: «Siamo gli unici tagliati fuori e la cosa non funziona. Siamo tagliati fuori anche dopo cioè quando ci sarà il congresso, ci sarà la spartizione di qualche posto e se non ci siamo non ci siamo».