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21 Aprile 2024L’architetto milanese: “Il Salone è la prova che la creatività è sempre in evoluzione”
Stefano Boeri è una delle anime dell’architettura e del design milanese contemporaneo: dal Bosco Verticale al progetto Forestami, dagli studi sull’avvenire delle metropoli del Future City Lab che dirige alla Tongji University di Shanghai al «Supersalone» post-pandemia del 2021, fino alla presidenza della Triennale che, in concomitanza con il Salone, ha organizzato una serie di eventi. La Design week, quindi, è il suo habitat.
Stefano Boeri, che cosa succede in questa settimana?
«Direi che, come sempre, questa settimana è molto utile per capire quello che sta accadendo nel mondo del design e della creatività: le tendenze, i giovani da scoprire, i materiali su cui si punta… Per esempio, una delle caratteristiche di questi anni è una grande attenzione alla questione della sostenibilità e della transizione ecologica; però, mentre in passato il materiale più utilizzato era il legno, oggi ho notato un ritorno alle ceramiche, alle terrecotte, ai materiali naturali fatti di terra, anche negli allestimenti. Mi ha colpito questo ritorno alla terra, nella sua materialità».
Che altro?
«Mi sembra anche di vedere una certa attenzione ai prezzi dei prodotti, soprattutto nel mercato italiano: le aziende sembrano più consapevoli del fatto che ci sia un tema, relativo ai salari, che non seguono l’andamento dei prezzi, e che riguarda non solo le case, ma anche i prodotti domestici. Questo è un punto di riflessione per le aziende».
Oltre a sostenibilità, una delle parole d’ordine del Salone è «evoluzione»: di quale evoluzione si parla?
«Nel senso che ci sono sempre delle sfide nuove, che arrivano e che obbligano a evolvere le aziende, i designer e anche le istituzioni, per esempio la Triennale: come l’Intelligenza artificiale, qualcosa la cui potenza esplosiva non è ancora stata capita, e con la quale dobbiamo fare i conti».
Come ci fa i conti il design?
«Dal punto di vista creativo bisogna fare i conti con il controllo dei processi creativi, che risultano potenziati, ma anche meno governabili. Dal punto di vista giuridico c’è l’ampio tema del diritto d’autore, del copyright: per esempio, il riconoscimento di una autorialità anche quando crei ricombinando pezzi e componenti di autori diversi».
Il design ha una sua specificità nel rapporto con l’Ia?
«Il Salone è una grande piattaforma mediatica: su cento oggetti, soltanto dieci o venti al massimo andranno davvero in produzione; gli altri rimangono, appunto, oggetti mediatici. E questa è una anticipazione dell’Ia, che può visualizzare cose che non si realizzeranno mai, ma hanno la loro vita sui social, su uno schermo, su un visore 3d…»
Una creatività potenziata insomma?
Anche la Triennale è protagonista del Salone?
«C’è la mostra dedicata ad Alessandro Mendini: un omaggio a uno dei protagonisti più importanti del design e dell’architettura italiana; un omaggio a Milano e al suo Salone; un omaggio alla creatività italiana. E c’è una bellissima mostra sul Salone Satellite, dedicato alle giovanissime scoperte del design».
C’è anche un omaggio alla sua mamma, Cini Boeri, per il centenario della nascita.
«Sì, è un piccolo omaggio, curato dall’Archivio Cini Boeri. L’idea è quella di ricostruire, nella Biblioteca del Parco Sempione, che era un Padiglione della Triennale del ’54, e ora è stato riqualificato, l’eleganza e un po’ l’ironia di Cini Boeri, con i materiali tipici della sua casa e le collezioni di arredi e di oggetti che raccontano la sua storia».
È vero che tornerà anche la sua «altalena gigante», che aveva installato lo scorso anno all’Università Statale?
«La stiamo ricostruendo, in periferia, a Buccinasco: è la prova che, ogni tanto, le cose vivono ancora».
Che rapporto hanno i milanesi con il Salone secondo lei?
«Credo che, per i milanesi, sia un grande orgoglio. Non dimentichiamoci la sua origine, ovvero la Fiera campionaria, che era una festa di popolo, non soltanto una occasione commerciale. Oggi il Salone ha una doppia anima: a Rho/Pero quella più commerciale e, sull’area di Milano, il Fuori Salone, quella più artistica e culturale. Ed è la combinazione di queste due anime a renderlo unico al mondo».
«Sicuramente è una delle sue caratteristiche fondamentali, perché unisce due aspetti del Dna della città: l’innovazione e la generosità. Gli oggetti più belli del design sono quelli utili e attenti ai bisogni e alle richieste delle persone, di tutte le fasce sociali e economiche».
Che differenza c’è fra il Salone di oggi e il «suo» del 2021?
«Quello era particolare, più ridotto negli spazi, con gli strascichi della pandemia. Ma, in quel contesto, abbiamo spinto molto sul piano dell’innovazione: per esempio con i qr code sugli oggetti, l’attenzione alla ricerca e alle università, gli stand aperti e instagrammabili. Sono enzimi che cominciamo a vedere agire oggi, piano piano. Per me è stata una esperienza memorabile, in un momento difficile, realizzata grazie a delle persone straordinarie, e che ha avuto grande successo».
Anche in questi giorni ci sono moltissime persone in coda.
«Sì, anche se trovo che la combinazione Biennale/Vinitaly/Salone sia una follia. Se vogliamo farci del male…».
Come fa ogni anno il Salone a essere diverso?