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di Giulio Gori
Era il 14 febbraio 2021 quando fu inaugurato l’hub vaccinale del Mandela Forum, con i docenti chiamati a raccolta per la partenza della campagna anti-Covid a loro dedicata. Oltre tre anni dopo, AstraZeneca ha deciso di ritirare dal mercato il vaccino che fu usato a partire da quel giorno: poco efficace e con troppi effetti avversi. In quei giorni di polarizzazione estrema del dibattito, tra pro vax e no vax, l’unica autorevole voce che si era levata per sollevare dubbi sul «Vaxzevria» era stata quella del professor Sergio Romagnani, tra i più insigni immunologi al mondo. Il 31 gennaio 2021, dalle pagine del Corriere Fiorentino , aveva fatto scalpore: «Io quel vaccino non lo farei», scrisse. Oggi, con un nuovo libro in uscita («Storia dell’immunologia e dell’allergologia in Italia»), Romagnani riflette su quella fase controversa della pandemia, sul ruolo e sull’etica dello scienziato.
Professor Romagnani, perché, prima ancora dell’inizio della campagna di AstraZeneca, ebbe dei dubbi su quel vaccino?
«Perché avevo letto le pubblicazioni di AstraZeneca su The Lancet . Le aziende devono presentare agli organi autorizzativi (Fda per gli Stati Uniti, Ema per l’Europa, Aifa per l’Italia) i risultati dei trials clinici, perché il vaccino possa essere ammesso sul mercato. Io quel lavoro l’avevo letto con attenzione — che vuol dire controllare i numeri uno a uno sulle tabelle, come dovrebbe fare ogni reviewer, non scorrerlo e basta — ed era tremendamente pasticciato. Due cose erano emerse: anzitutto, tre gruppi di pazienti avevano ricevuto due dosi, mentre un quarto una dose e mezzo, e i numeri erano poi stati mescolati tutti assieme, una cosa che non si può fare. Poi, non c’erano abbastanza soggetti volontari sopra i 55 anni. Il 31 gennaio scrissi, allora, sul Corriere Fiorentino che questo vaccino non l’avrei mai fatto vista la mia età».
Fu ascoltato?
«Premesso che la Fda non lo ha mai autorizzato per nessuno negli Stati Uniti, io mi rivolsi all’assessore regionale alla Salute e al suo dg (Simone Bezzini e Carlo Tomassini, ndr ), che mi ricevettero, mi ascoltarono, ma giustamente mi fecero presente che loro non potevano che adeguarsi alle decisioni di Ema e Aifa. Scrissi quindi ad Aifa, che una ventina di giorni dopo mi rispose dicendo che non erano d’accordo con le mie tesi, ma in modo vago e generico, senza replicare in modo puntuale alle mie obiezioni. Mi diedero la netta impressione che i lavori scientifici di AstraZeneca non li avessero letti sul serio».
Va detto che Aifa, almeno all’inizio, autorizzò il vaccino solo per gli under 55.
«Sì, ma con l’epidemia che dilagava, che faceva tanti morti, con le dosi degli altri vaccini che scarseggiavano, fu deciso di alzare quel limite di età. Si fece una sperimentazione sulla popolazione. Ma in fondo anch’io, almeno all’inizio, fui obbligato ad accettare la situazione, vista la situazione. Tanto che anche mia moglie e mia figlia, in assenza di meglio, si vaccinarono con AstraZeneca».
Ma poi cambiò idea?
«Emersero casi di trombosi specialmente tra le donne sotto i 55 anni. Visto che in quella fascia d’età la mortalità da Covid era bassissima, manifestai forti dubbi sull’opportunità di quel vaccino. Per le donne in quella fascia d’età il rapporto beneficio-rischio non era conveniente».
Non si sentì ascoltato?
«In quel periodo venivo invitato in diverse trasmissioni televisive. Mi resi conto che la pressione era tale che, quando dicevo queste cose, venivo immediatamente interrotto. In un caso, fui invitato, ma quando ricevettero la scaletta delle cose che avrei detto mi dissero che erano contrarie alla linea editoriale della rete».
Subì un’esclusione politica?
«Non direttamente, ma sì. Io però la politica la posso anche capire, in quel momento l’obiettivo era vaccinare e la decisione fu quella di nascondere i problemi di AstraZeneca perché altrimenti la gente non avrebbe fatto il vaccino. Io non ero d’accordo, per me la popolazione ha diritto di sapere. Però quel che non accetto è che molti scienziati abbiano taciuto. O che non ci sia stato rigore scientifico nelle loro affermazioni. La politica è un conto, ma lo scienziato ha il dovere della verità. Tanti mi chiamavano, mi dicevano di condividere le mie posizioni, ma poi non sostenevano pubblicamente quel che dicevo io. Io invece ho scelto di essere scienziato fino in fondo».
Si è sentito solo?
«Certo. È vero che ormai ero in pensione, ma la scienza è per definizione collaborazione, non un lavoro individuale. È stata una sensazione strana. E spiacevole».
Qualcuno le ha mai dato del no vax?
«No, e ci mancherebbe. Tanto più che io sostenevo che i vaccini di Pfizer e Moderna erano sicuri e efficaci, dicevo che, a meno che non ci fossero condizioni patologiche spe-cifiche, era inconcepibile esentare le persone dalla vaccinazione, e contestavo l’Ue di aver puntato soprattutto sui vaccini a Dna e di non aver acquistato dosi sufficienti di vaccini Rna».
Se AstraZeneca, con 25 milioni di vaccinati in Europa, ha provocato 86 trombosi e 18 decessi, tutto sommato pochi, significa che gli altri due vaccini erano davvero sicurissimi?
«Premesso che 18 decessi non sono pochi, visto che sono concentrati quasi tutti tra donne giovani che probabilmente non sarebbero morte a causa del Covid. Pfizer e Moderna sono molto più sicuri. E hanno salvato milioni di vite».
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