“ Nutrire il corpo e la mente”: Marzano inaugura domani il festival
di Michela Marzano
Ne parlano gli psicologi, i sociologi, i filosofi, gli opinionisti… Chiunque, oggi, parla dei giovani e del loro malessere, convinto di sapere esattamente chi siano e di cosa abbiano bisogno, perché siano a disagio o come mai non ce la facciano a strutturarsi e a diventare grandi – è difficile, dicono alcuni: c’è stata la pandemia, c’è stato il lockdown, ci sono i social; è difficile, ripetono altri: le ragazze e i ragazzi non hanno più alcun punto di riferimento, come si fa ad aiutarli? Per non parlare poi di chi, dall’alto della torre d’avorio in cui è da tempo trincerato, spiega quanto siano choosy o sdraiati i giovani, e quanto poco si impegnino: non hanno obiettivi, non hanno valori, non si proiettano nel futuro. Ma quale futuro noi adulti siamo stati in grado di preparare per loro? Come ci si può permettere di giudicarli o anche solo di pensare che l’unica soluzione che resta sia quella di tornare indietro nel tempo, all’epoca in cui si era severi, autoritari, togliamo loro il cellulare e via di seguito, quando i primi a non saper staccare gli occhi dallo smartphone o dal pc siamo noi?
Come qualunque altro essere umano, anche i giovani hanno fame: hanno bisogno di alimentare il corpo e di nutrire la mente, di essere aiutati a strutturare la propria identità e di capire in quale direzione incamminarsi. Ma basterebbe ascoltarli davvero per rendersi conto che ciò di cui hanno più bisogno è proprio l’ascolto: essere visti e riconosciuti per quello che sono e non come mere proiezioni narcisistiche dell’io dei propri genitori o dei propri insegnanti ( farai, diventerai, realizzerai…). La loro è fame di un amore, quello che accoglie e vede e ascolta; fame di un posto in cui potersi sistemare per scoprire pian piano doveli conduce il proprio desiderio. Mentre ciò che accade è che, sempre più spesso, le ragazze e i ragazzi si trovano all’interno di famiglie in cui il ruolo di ciascuno sembra essere stato determinato già prima della nascita: coppie in crisi che fanno figli per risolvere i propri problemi, madri o padri feriti nella propria identità che proiettano sui bambini tutta una serie di aspettative, e allora quale spazio resta ai giovani per essere sé stessi?
Sono tanti i ragazzi che costruiscono un falso sé, come direbbe il celebre pedopsichiatraD. W. Winnicott, e che passano il tempo a cercare di diventare ciò che sanno di dover essere. E che a un certo punto non devono soltanto fare i conti con il crollo dell’ideale infantile, ma anche con la necessità ( la fame, appunto!) di capire chi sono, dove stanno andando, e quale sia il senso di ciò che fanno o provano a fare. I ragazzi hanno fame di autenticità, ma, sempre più spesso, crescono facendo finta, circondati da adulti che, a loro volta, mentono e recitano una parte imparata a memoria. Figli ( o studenti) “ farmaci”, di cui si nutrono i genitori ( o gli insegnanti), che hanno a loro volta fame di riconoscimento e che, illudendosi che il successo sia l’unico cibo che possa saziare, spingono i più giovani verso il baratro. Sono tanti i ragazzi che avrebbero bisogno di essere ascoltati, ma spesso si trovano di fronte a chi non è sufficientemente saldo per accettarne l’alterità e accompagnarli attraverso le difficoltà dell’esistenza. La fame più grande dei giovani, d’altronde, è quella dell’alterità: poter essere altro rispetto agli ideali; potersi loro stessi accettare nonostante si scoprano altro rispetto a quello che hanno sempre immaginato, rispetto ai modelli estremamente rigidi e binari proposti loro dalla società.
Non hanno bisogno che si dica loro chi sono (l’identità non è eterodeterminata), ma come fare per convivere con le proprie fratture in un mondo in cui nessuno sembra più avere il diritto di essere fragile. Non hanno bisogno che qualcuno spieghi loro come comportarsi, ma come si fa a rimanere autentici: parole che non vengano sistematicamente contraddette dai comportamenti, e talvolta anche un “ti chiedo scusa” non solo per ciò che avevano diritto di ricevere (e che non hanno ricevuto), ma anche per ciò che si sono sentiti imporre (senza averlo mai domandato).