La previsione sulle astensioni, che coinvolgerà probabilmente oltre la metà dell’elettorato, spiega esaustivamente quanto del voto europeo importi poco agli elettori. Logico, quindi, che le elezioni vengano viste soprattutto come un giudizio sui partiti al potere. E il giudizio nei confronti di Emmanuel Macron o Olaf Scholz è quello che peserà di più. Ma ci sarà anche il voto spagnolo, con un governo Sánchez perennemente in bilico, quello dei Paesi dell’Est a cominciare da Polonia e Ungheria, il test su quanto accade in Olanda dopo la vittoria dell’estremismo nazionalista di Geert Wilders o il voto nel Belgio di Charles Michel.
Il terzo posto.
Dovrebbe allora destare un po’ di allarme se i due principali partiti al governo in Francia e Germania sono in lotta non per la vittoria, ma addirittura per il secondo posto. I sondaggi francesi sono unanimi nel prevedere la schiacciante vittoria del Rassemblement National di Marine Le Pen ben che arriva al 33% in certe rilevazioni. Dietro di lei, dopo un abisso, la lista promossa da Macron, Renassaince, capitanata da Valerie Hayer che oscilla tra il 15 e il 16%, e subito dopo i socialisti di Ralph Glucksmann che si attestano al 14,5% ma sono in crescita. Se si verificasse il sorpasso socialista la già dura sconfitta di Macron diventerebbe una disfatta. E lo stesso si potrebbe verificare in Germania dove i socialdemocratici del cancelliere Scholz sono in caduta libera.
La media dei sondaggi elaborata da Europe elects lì dà già al terzo posto, dietro i popolari della Cdu che sfiorano il 30% e soprattutto dietro la destra dell’Afd al 18%. Se poi i verdi, al 13% circa, dovessero avere un balzo finale il 15% della Spd potrebbe non bastare nemmeno per il terzo posto.
Un quadro analogo è presente in Austria dove i popolari dell’Ovp sono dati al terzo posto (20%) staccati dai “liberali”, cioè l’estrema destra, del Fpo (29) e anche dal partito socialdemocratico che è secondo al 22%. Il partito popolare potrebbe pagare i numerosi scandali di corruzione degli ultimi anni e, a giudicare dal voto al Fpo, anche il sentimento xenofobo e anti-Ue, che invece favorisce l’estrema destra.
Fenomeno Wilders.
Il dato della destra più identitaria è in crescita dappertutto, come mostrano anche le proiezioni sull’intero emiciclo parlamentare, e producono effetti su scala nazionale. In Olanda ad esempio, dopo sei mesi di trattative per formare un governo in seguito alla vittoria della destra di Wilders, il suo partito, il Pvv, è stabile in testa con circa il 30% con i socialisti a grande distanza, 15% e poi con la frammentazione delle varie formazioni popolari e liberali, come da tradizione olandese. Le elezioni saranno un test per la composizione del governo che Wilders, che ha dovuto cedere il posto di primo ministro, dovrà formare in coalizione.
Est europeo.
Le altre due partite importanti per la destra europea, anche se leggermente più moderata di quella rappresentata da Le Pen, Afd o Wilders, si giocheranno in Ungheria e Polonia. In Ungheria, il potere di Viktor Orbán reggerà anche se i sondaggi danno in forte ascesa il Tisza, il Partito della libertà e del rispetto fondato dal suo ex ministro Péter Magyar, dato al 25% contro un solido 45% del partito di Orbán. Ma la nascita di un possibile rivale, per quanto proveniente dalla cerchia orbaniana, è una novità.
In Polonia, invece, la destra conservatrice, alleata di Giorgia Meloni, il PiS, vede un forte testa a testa tra questo e la coalizione di centrosinistra di Donald Tusk.
Attento Pedro.
Testa a testa importante è anche quello che si svolgerà in Spagna dove il governo di Pedro Sánchez è insidiato ogni giorno da una campagna della destra, di Vox innanzitutto, ma anche del Pp, che ne contesta la legittimità. I sondaggi danno il Pp in testa tra il 33 e il 35% con il Psoe al secondo posto, tra il 29 e il 31%. Il problema è vedere che succederà alla sinistra di governo dove Sumar, di Yolanda Diaz, potrebbe non superare il 6% cedendo qualcosa alla lista di Podemos, che oscilla tra il 3 e il 4%. E poi c’è l’ovvia incognita del voto autonomista soprattutto in Catalogna.
I filo-Nato.
I due Paesi di recente ingresso nella Nato, Svezia e Finlandia, non sembrano prevedere grandi sommovimenti. Il Partito socialdemocratico in Svezia sembra poter superare il 30% dei voti, anche se si tratta di un successo dovuto alle ampie rassicurazioni che vengono offerte sul tema dell’immigrazione sfruttando anche il ruolo, in termini di maggior sicurezza dei confini europei, della commissaria europea, svedese per gli Affari interni Ylva Johansson. Posizione certamente favorita dalla persistente forza dei Democratici svedesi, la destra conservatrice e maggiormente xenofoba che non schioda dal suo 20% confermandosi la prima forza nel centrodestra.
In Finlandia la maggioranza di centrodestra dovrebbe tenere, ma al momento in testa ai sondaggi c’è il Partito socialdemocratico già guidato dalla “liberale” Sanna Marin, che però non ha messo in discussione l’ingresso nella Nato. A giocare a favore dei socialdemocratici potrebbero essere i recenti scioperi sindacali.
In Lituania sembra prevalere soprattutto la questione sociale e non il tema della guerra con il Partito socialdemocratico molto avanti rispetto al centrodestra al potere e lo stesso in Lettonia.
Voto in Belgio
La crisi economica, del resto, sta riprendendo il suo spazio in diversi Paesi, come in Grecia dove Nuova democrazia al potere dovrebbe rimanere non solo molto al di sotto del 40% ottenuto alle ultime Politiche, ma anche sotto il 33% delle scorse Europee. Non ne approfitta Syriza, dilaniata dalle divisioni e da cui sono nati ormai almeno tre nuovi partiti, ma anche in Grecia, come in Francia, si assiste al forte recupero dei socialisti del Pasok.
L’attentato contro il primo ministro Robert Fico, infine, ha segnato il dibattito in Slovacchia con il partito di governo che sembra uscire rafforzato dalla radicalizzazione delle posizioni e dalla diffusa simpatia verso lo Smer di Fico. Non dovrebbero poi esserci novità in Portogallo dove si è votato appena due mesi fa, mentre si svolgono elezioni regionali e federali in Belgio che vedrà l’ascesa dei nazionalisti nelle Fiandre e una vittoria della sinistra in Vallonia dove è dato in forte avanzata il Partito dei lavoratori, di provenienza maoista. Nessun balzo per i liberali alla Charles Michel che scendono nelle Fiandre, rimangono stazionari in Vallonia da sei anni e crescono solo in un luogo, guarda caso: Bruxelles.