Lo ricostruiscono il New York Times e il quotidiano israeliano Haaretz, che hanno visionato documenti e raccolto le testimonianze di quattro funzionari israeliani al corrente dei fatti. La strategia, partita ad ottobre 2023, quindi poco dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, è stata affidata dal ministero israeliano per gli Affari della Diaspora, il cui compito era agire da ponte fra lo stato di Israele e gli ebrei nel resto del mondo, ad almeno una società di consulenza politica, Stoic, con base a Tel Aviv.
Secondo la dettagliata ricostruzione di una testata israeliana specializzata in disinformazione, Fake Reporter, la campagna è iniziata con la creazione di tre siti di fake news in inglese a cui erano associati account sui principali social network, X, Facebook e Instagram, rispettivamente con decine di migliaia di follower. Contemporaneamente centinaia di falsi account di studenti e semplici cittadini promuovevano aggressivamente presunti articoli pro Israele, fra cui rapporti sugli abusi sessuali da parte di Hamas e sui presunti legami tra l’agenzia delle Nazioni Unite a Gaza, l’Unrwa, e Hamas. Fra gli obiettivi di questa operazione una dozzina di legislatori americani: deputati come il nero Hakeem Jeffries, o come il senatore della Georgia Raphael Warnock, invitati a supportare l’invio di fondi a Israele.
In breve tempo, scrive Fake Reporter, si è trasformata in “un ampio e ben coordinato sforzo per attaccare e diffamare gruppi che sono tipicamente pro-palestinesi. Questi gruppi includono cittadini di paesi occidentali (principalmente Stati Uniti e Canada) di origine islamica e utilizzano contenuti profondamente islamofobici e anti-immigrazione”. Fra questi l’idea che gli immigrati musulmani rappresentino una minaccia per il Canada e vogliano imporvi la sharia oppure il messaggio, diretto alle comunità afroamericane, che gli arabi siano stati commercianti di schiavi in Africa.
Alla fine di aprile, quando la contestazione degli studenti universitari era all’apice, Stoic ha iniziato a spingere un quarto sito, sempre parte della campagna e chiamato il “Buon Samaritano”, che mappava e classificava le università americane in base alla quantità di presunti incidenti antisemiti nei loro campus, con una valutazione del livello di rischio per gli studenti ebrei.
A fine maggio il network è stato smantellato da Meta e ChatGpt4 prima che potesse diffondersi ulteriormente, ma il coinvolgimento del governo israeliano rappresenta un salto di qualità senza precedenti che non faciliterà i rapporti già tesi dell’esecutivo di Benjamin Netanyahu con l’Amministrazione Biden. Haaretz non esclude che campagne simili siano attualmente in corso. Mentre Stoic non ha risposto alla richiesta di commento, il ministero per la Diaspora ha negato ogni coinvolgimento: una fonte interna ha però confermato al quotidiano israeliano che il dicastero “finanzia sia campagne ufficiali che non ufficiali”. Le prove raccolte da New York Times e Haaretz appaiono inconfutabili e suggeriscono un coinvolgimento ampio della società israeliana. Poco dopo il 7 ottobre, scrive il quotidiano newyorchese, “dozzine di start up israeliane hanno ricevuto email e messaggi su WhatsApp che le convocavano a riunioni urgenti, invitandoli a trasformarsi in ‘soldati digitali’ durante la guerra”.
Alcuni di questi messaggi sono stati inviati direttamente da funzionari governativi, altri da società tecnologiche: come documentato dal giornalista ebreo Antony Loewenstein nel suo saggio Laboratorio Palestina, in Israele le società private nel settore dell’intelligence e dello sviluppo di tecniche di sorveglianza digitale sono spesso una diretta emanazione del governo, con staff uscito direttamente dalle unità d’elite dell’Idf che testano tecniche e prodotti sui palestinesi sotto occupazione. Secondo Loewenstein, sentito dal Fatto Quotidiano, “queste tattiche sono sempre più comuni in Israele a causa della difficoltà di Tel Aviv nel portare avanti con successo la sua agenda; l’obiettivo principale è cercare di influenzare le pubbliche relazioni piuttosto che considerare un cambiamento di strategia politica”.
Solo pochi giorni fa il Guardian e la testata israeliana +972 avevano rivelato nove anni di pressioni e minacce di Israele addirittura sulla Corte penale internazionale dell’Aja incaricata di valutare se Tel Aviv abbia commesso crimini di guerra contro i palestinesi.