Dacia Maraini
È questione di libertà e di potere. La volontà di disporre del proprio corpo di fronte a una destra che crede in «un sistema gerarchico di controllo delle libertà dei cittadini». Dacia Maraini, scrittrice, intellettuale, una delle voci più importanti della letteratura italiana, risponde al telefono dal Giappone dove, per la prima volta, sta tornando a Nagoya, nei luoghi in cui da bambina venne reclusa per due anni con la sua famiglia in un campo di concentramento. Il luogo dove la libertà che tanto ama le fu sottratta.
Signora Maraini, l’aborto resta per questo governo un grande tabù, al punto da non potere essere inserito in un documento ufficiale. Che cosa ne pensa?
«L’aborto è una richiesta di libertà. Pensare che le donne abbiano il piacere di rimanere incinte per poi abortire è una follia. L’alternativa è la maternità responsabile. Ma storicamente alle donne non è mai stato permesso di decidere quando e come avere figli. Erano sempre un padre, un marito, una famiglia, una morale, una chiesa a farlo per loro. L’aborto non è un bene supremo, ma libertà di disporre del proprio corpo. In una cultura a misura di donna non esisterebbe, perché le donne saprebbero come prevenire quella che è comunque una violenza».
Pensa che l’Italia dovrebbe inserire il diritto all’aborto in Costituzione, com’è stato fatto in Francia?
«Sì, sarebbe un atto di consegna di autonomia del corpo femminile. Ripeto, le donne non amano abortire, sono costrette perché non c’è cultura della prevenzione delle gravidanze indesiderate. Del resto gli anticoncezionali erano proibiti fino a qualche anno fa, prenderli era considerata una cosa da prostitute. La liberalizzazione è arrivata solo grazie alle battaglie del Sessantotto e al femminismo».
Non siamo ancora in una società a misura di donna.
«No, è una società a misura di uomo da tutti i punti di vista, nonostante ci siano state molte conquiste dopo secoli di battaglie. A cominciare dalla lingua, è una società maschile. Se dico che “l’uomo è mortale”, intendo dire che anche la donna lo è: ma il maschile è l’universale mentre il femminile è il particolare, quindi la lingua è misogina. In Europa abbiamo raggiunto una certa emancipazione, ma alle donne si dà spazio soprattutto quando entrano all’interno di un sistema di valori maschile».
La premier rientra in questo schema?
«A me fa piacere che una donna sia presidente del Consiglio, vuol dire che si può fare. Ma lei non agisce introducendo in questo sistema di valori qualcosa di diverso: si adegua al sistema di valori maschile. Quando parla di famiglia, maternità, lo fa in termini maschili, per cui alle donne viene fatto spazio solo se rientrano in quel sistema di valori. Non siamo usciti dalla cultura patriarcale».
Meloni ha chiarito che non intende modificare la normativa sull’aborto, ma poi la sua maggioranza ha fatto inserire in una legge la possibilità di insediare associazioni pro-life nei consultori. Dunque?
«Io credo che la premier sia una donna intelligente e che quindi cerchi di mediare. Ma non prende posizione chiaramente dalla parte delle donne, perché se permette che nei consultori i pro-vita entrino per fare ascoltare il battito del cuore del feto alle donne, per fare ricatti emotivi, è chiaro che è su una posizione contraria».
Perché il mondo maschile in generale, e quello della destra in particolare, teme la libertà delle donne?
«È una questione di potere. Del resto nei posti di comando ci sono di solito uomini. Ho avuto a che fare con uomini meravigliosi, non ce l’ho con gli uomini, ma moltissimi non accettano i cambiamenti perché l’azione femminile toglie loro privilegi. La destra questo lo teorizza».
Questo governo ha operato una stretta sulle libertà, da quella di manifestare a quella di espressione. È sempre un problema di controllo sulle libere scelte delle persone.
«Libertà di espressione è democrazia. Invece vediamo che sono stati occupati tutti gli spazi della cultura, i teatri, i musei, la Rai. Abbiamo visto alcuni casi di censura in spazi che devono essere liberi. Libertà non è solo aborto. Ma se parliamo di una idea tradizionale sul ruolo delle donne – stiano a casa e facciano figli – basta ascoltare Vannacci, che esprime esattamente quello che vorrebbe la destra estrema, e c’è gente che gli va dietro. Questo vuol dire che c’è un Paese che su certi aspetti è rimasto indietro, in cui i cittadini, la magistratura, i media sono al servizio del potere. Questa è la destra: un sistema gerarchico di controllo delle libertà dei cittadini».
Lei è preoccupata?
«Molto. E non solo per l’Italia: questo ritorno a idee gerarchiche tradizionali, anti-emancipatorie e anti-libertarie riguarda tutto il mondo, basta guardare agli Stati Uniti. C’è una preoccupante forma di irrazionalismo, probabilmente di reazione alla paura della crisi economica, delle guerre. Ma forse la paura più grande è quella che riguarda le migrazioni, il movimento dei popoli, che non ha a che fare col rischio di trovarsi in casa dei delinquenti ma l’identità: la gente teme di perdere la propria identità, e questo fa emergere razzismo e violenza, è una cosa molto profonda. Che però si affronta con strumenti efficaci, integrando chi arriva, non chiudendo le frontiere né facendo morire la gente in mare».