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di Massimo Franco
È difficile immaginare che abbia pesato la reazione indignata delle opposizioni. Semmai, quella ha fatto scattare il riflesso tipico di chi pensa che la migliore difesa sia fare quadrato: tanto più per una formazione che, a torto o a ragione, si è sentita discriminata a lungo, e su questo ha costruito parte della propria identità.
Piuttosto, a fare modificare atteggiamento a Meloni potrebbero essere stati la ferma presa di posizione di una figura storica e rispettata come la senatrice a vita Liliana Segre, che l’antisemitismo l’ha vissuto sulla propria pelle e su quella dei suoi familiari nel modo più tragico; e il peso di parole e gesti così odiosi e sgangherati dei giovani di FdI da risultare ingiustificabili. Esitare e tergiversare avrebbe significato danneggiare l’intera operazione di accreditamento moderato che Palazzo Chigi sta tentando faticosamente di puntellare, con risultati da registrare.
Qualcuno dirà che Meloni ha aspettato anche troppo prima di correggere il tiro: è possibile. E altri riterranno la sua lunga filippica contro i giovani del suo partito insufficiente o poco credibile. Ma è doveroso riconoscerla come volontà di scomunicare una volta per tutte legami col passato e col presente di un estremismo radicato, seppure minoritario. Si vedrà quanto alla durezza mostrata nella lettera dalla premier seguiranno fatti concreti e duraturi.
Per essere chiari: è doveroso aspettare per capire se quanto è emerso sarà utilizzato non solo per cancellare ma per convertire a valori più democratici una sottocultura antisemita evidentemente presente tra i giovani; e, il timore è questo, non solo a destra ma anche a sinistra. È nell’interesse di tutti scongiurare una deriva che presenterebbe la maggiore forza di governo su posizioni fuori dalla storia e dal futuro. I fenomeni ai quali si assiste in Europa sono già abbastanza allarmanti.
Non cogliere segnali come la presa di distanza decisa dalla premier significherebbe ritenere impossibile una svolta culturale, prima che politica. Eppure, avere ribadito che antisemitismo e razzismo non fanno parte del dna di Fratelli d’Italia, e che il partito è nato contro tutti i totalitarismi, «nazismo, comunismo e fascismo», citati in quest’ordine, è come minimo il riconoscimento di un problema. Affiora finalmente la determinazione a guardare in faccia e chiamare col proprio nome l’esistenza di alcune sacche della destra, non solo «nostalgiche» per ignoranza o ideologia, ma anche ostili agli ebrei e inclini al razzismo: per quanto confessati solo nel buio mentale e fisico delle riunioni di partito.