Il MSI è l’unica alternativa rivoluzionaria a un sistema parlamentare distrutto». È il novembre 1970 e davanti ai militanti dell’VIII congresso del partito, Giorgio Almirante inneggia al presidenzialismo, inteso come fascinazione dell’uomo forte al potere, capace di governare le masse nel nome di una carica antisistema.
Forse pochi notano, in quel momento, le inquietanti assonanze con le parole pronunciate da Benito Mussolini nel 1923: «Il fascismo è la dittatura della piazza sorta in contrapposizione al parlamento». L’antipartito o l’antistato pronto a distruggere «con un colpo di scopa definitivo» tutti i «mestieranti della politica, schiuma infetta della società italiana».
L’OPERETTA
Certo, si dirà, sono questioni di un lontano passato. Peccato però che in Italia sia ancora viva un’autoassoluzione collettiva che dipinge il fascismo con i tratti di un regime da operetta, autoritario sì ma tutto sommato non violento come il nazionalsocialismo tedesco, che agli italiani aveva regalato pensioni o strade (come se per costruire opere pubbliche fosse necessario togliere la libertà a qualcuno o assassinarlo, senza contare quell’incidente di percorso chiamato seconda guerra mondiale, che al paese costò sangue, macerie e milioni di morti).
Peccato ancora (è proprio il caso di dirlo) che di fronte alle immagini a dir poco inquietanti diffuse dall’inchiesta di Fanpage sulla “Gioventù meloniana” di FdI quei giovani che esaltano il nazifascismo a suon di slogan antisemiti, razzisti e omofobi, vengano quasi perdonati nel loro miscuglio di vitalità e violenza.
Goliardi, audaci, spavaldi, in una parola giovani pronti a scatenare la loro carica eversiva su quel grigio apparato di equilibri di poteri chiamato democrazia parlamentare. Proprio come i “figli migliori della nazione” degli anni ’20 (così gli incauti e addormentati esponenti della borghesia liberal-conservatrice, definivano i fascisti di Mussolini) la cui goliardia aveva finito per fare letteralmente a pezzi lo Stato liberale.
Un taciuto delle eredità storiche del fascismo ma anche un rimosso di quell’anima nera della Repubblica, chiamato neofascismo, che dal 1945 aleggia su di noi.
«Non c’è spazio, in Fratelli d’Italia, per posizioni razziste o antisemite, come non c’è spazio per i nostalgici dei totalitarismi del ‘900» ha dichiarato ancora la presidente del consiglio Giorgia Meloni nella lettera ai militanti.
Peccato che il loro «stupido folkore» non sia una carnevalata e venga da lontano, che abbia origini molto chiare, al netto delle rimozioni e di un passato che non passa. Come non notare l’assenza di qualsiasi riflessione su quei sentimenti nostalgici e quelle liturgie commemorative (dai tratti fortemente identitari, mutuate dallo squadrismo fino al “Sigh Heil!” coniato da Joseph Goebbels nella Germania nazista) usate con esaltazione da gruppi di estrema destra, per ricordare giovani missini ammazzati negli anni Settanta.
Lo abbiamo visto con le centinaia di camerati che ogni 7 gennaio si radunano ad Acca Larenzia al grido di «Presente!», con tanto di saluto romano per celebrare tre militanti del Fronte della gioventù́ uccisi nel 1978 da un’organizzazione terroristica di estrema sinistra.
Lo si vede ogni 28 febbraio a Via Cola di Rienzo, con i camerati che sfilano serrati in ranghi, in silenzio e con le fiaccole, per ricordare Mikis Mantakas, lo studente greco iscritto al Fuan (Fronte universitario d’azione nazionale), ucciso nel 1975. Sono gli ultimi rappresentanti di un neofascismo mai rimosso, di chiara e diretta ispirazione a quell’«idea immortale», che però era già morta nel 1943.
Un fenomeno che viaggia sui social e mette in allarme per i suoi marcati caratteri violenti, basato sul disprezzo profondo per la democrazia parlamentare, gli appelli alla mobilitazione della piazza con le sue pulsioni irrazionali, l’esaltazione dell’uomo forte, il primato della sovranità̀ nazionale e l’ostilità̀ verso gli immigrati.
Una galassia d’eversione nera che, non da oggi ma a partire dal 1969 (proprio dentro il partito di Almirante) ha covato neppure tanto implicitamente progetti autoritari e tentativi di colpi di mano, nell’idea di dover soffocare la democrazia repubblicana (intesa come roccaforte del privilegio).
Di certo oggi nessuno può dire che in Italia ci sia il rischio del ritorno del fascismo. Ma è assai bizzarro continuare a usare la retorica degli «underdog». Al netto degli «esclusi per ovvie ragioni storiche» e di un Movimento sociale italiano un po’ troppo bonariamente descritto come il partito che avrebbe «traghettato i fascisti nella democrazia», il MSI ha fatto parte della vita parlamentare del Paese.
Ha contribuito a eleggere almeno due presidenti della Repubblica, sfiorando il 10 per cento dei consensi alle elezioni politiche del 1972, per poi andare al governo nel 1994 (prima ancora di sciacquare i panni sporchi nelle acque di Fiuggi).
Il partito di Fratelli d’Italia, dice di aver avviato una sorta di metamorfosi, per approdare alla destra conservatrice. All’appello mancano però un po’ di nodi irrisolti; il dichiararsi apertamente antifascisti, per dirne una. Riconoscere la presenza neofascista negli attentati dinamitardi degli anni Settanta e non rinnegare il plauso ai colpi di Stato, fino al coinvolgimento in progetti esplicitamente eversivi, che segnarono la storia missina, per dirne un’altra.
Una dannazione, verrebbe da dire. E in questo, forse, la destra italiana sta perdendo la sua più grande occasione.
(Con questo articolo Michela Ponzani inizia la sua collaborazione con Domani)