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8 Luglio 2024Padiglione Conolly in “La pagina nera”, Art Dossier 2024.
Siena è famosa per il Palio. Siena è famosa per i suoi tesori d’arte. Siena è famosa per Pia de’ Tolomei («Siena mi fé, disfecemi Maremma», scrive Dante nel V canto del Purgatorio, 130-136). Se volete, anche per il Monte dei Paschi. Ma purtroppo, non lo è abbastanza per un altro capolavoro che vanta nel centro storico, patrimonio dell’UNESCO dal 1995 e che oggi è in disfacimento: assolutamente a rischio. È un antico padiglione dell’ex manicomio, quello di San Niccolò, con un reparto e delle strutture pressoché uniche al mondo, per la loro storia e il loro aspetto. Quel padiglione fa pena: ma non tutto il resto dell’ex ospedale psichiatrico, anzi, recuperato e rimesso quasi integralmente a nuovo per ospitare l’Università degli Studi di Siena; però, proprio la parte più rappresentativa e insigne è stata dimenticata. E ora giace come una larva: si misura con la cattiva coscienza collettiva. Fino a poco tempo fa, prima che fossero rifatte almeno le strutture del tetto, vi pioveva addirittura dentro. La dimenticanza (se tale è stata) di quest’area del nosocomio antico, assurge assolutamente a delitto: un “edificicidio” che si consuma in via Roma 56.
Un po’ di storia. Dal 1300, per cinque secoli, il luogo era un monastero, le cui suore seguivano le regole di santa Chiara. Napoleone lo sopprime nel 1810. Otto anni dopo diventa l’ospedale psichiatrico: sostituisce la vecchia “Casa dei matti”, fondata nel 1672 e gestita dalla Società di Esecutori di Pie Disposizioni. Figura chiave ne è il quarto direttore, Carlo Livi, in carica per quindici anni dal 1858. Ammoderna il convento antico, affidandolo a un “architetto degli ospedali”, Francesco Azzurri, che a Roma, oltre a creare il Teatro drammatico nazionale, riorganizza e amplia due ospedali, il Fatebenefratelli e il Santo Spirito, e progetta il più grande manicomio in Europa, quello di Santa Maria della Pietà, oltre a quello di Alessandria. Suo è pure il Palazzo pubblico di San Marino. Nel complesso senese di San Niccolò, quindici ettari di superficie libera e due di fabbricati, Azzurri crea anche il padiglione Conolly, dal nome del famoso psichiatra inglese John Conolly (1794-1866), fautore dell’antiviolenza nella cura degli oligofrenici, contrario alla costrizione e a tanto altro.
E questo è il delitto in corso: sta andando in malora un esemplare unico; con il carcere di Santo Stefano a Ventotene (Latina) e pochi altri, costituisce un raro esempio, in Italia, di “panopticon”, strutture circolari che permettevano a un unico sorvegliante, situato nel centro, di tenere a bada gli internati, ciascuno dei quali viveva nel proprio spazio assegnatogli. Nel Settecento, l’idea era stata del filosofo inglese Jeremy Bentham. Il “panopticon” senese è un grandissimo paradosso, assolutamente singolare. Il paradosso sta nel suo nome, uguale a quello dello psichiatra: in trentaquattro celle, custodiva i malati più difficili, gravi e aggressivi, i “clamorosi”, soggetti a mille contenzioni e violenze; mentre lo psichiatra era molto “liberale”. L’unicità, invece, deriva dal fatto che alcune di queste celle per i deboli di mente, con gli angoli stondati per prevenire i ferimenti, lettino fissato a terra, magari i materassi alle pareti, e con un pavimento in legno e non in cemento, possedevano un piccolo spazio verde sul retro, a cui i malati potevano accedere per «godere dell’aria, del sole e del profumo dei fiori», scriveva Azzurri stesso. Spazio che, talora, diventava perfino un orto. La luce interna pioveva dall’alto, e doveva essere «delicata, blanda e misteriosa», per «invitare alla calma e alla pace». Le celle sono ormai in pessime condizioni; in una, un graffito lascia immaginare lo stato d’animo di coloro che vi erano internati: «W Gesù, W la Libertà e la Giustizia, W Maria, W Lenin».
Questo padiglione è l’unica struttura dimenticata dell’ex manicomio: infatti, le altre parti sono ormai moderne, e percorse dagli studenti dell’Università. Il reparto Conolly, nato sul modello delle celle certosine, negli anni Trenta viene anche sopraelevato; ma poi il suo utilizzo si riduce, e il fascismo lo destina ai dissidenti politici: alcune celle ne conservano ancora le scritte sui muri. Oggi restano le due ali laterali con l’originaria struttura; ma una ha il tetto crollato. La parte centrale, invece, conserva soltanto il primitivo perimetro curvo, perché è divenuta un’aula. Proprietaria ne è l’ASI, che, con cinquecentomila euro, ha rifatto parte dei tetti; però, da almeno vent’anni, il circolo La Pergola fa di tutto per salvare questo luogo unico in Italia. «Stiamo fondando un comitato ufficiale, ne faranno parte pure il Comune, l’ASI e l’Università, per accrescere la pressione su chi può decidere qualcosa, e rastrellare dei fondi», dice Andrea Friscelli, membro dell’associazione senese. Un primo calcolo sommario indica in cinque milioni di euro il fabbisogno per sistemare quanto sopravvive del reparto, nell’ex ospedale dove «un tempo lavoravano più persone che al Monte dei Paschi», continua Friscelli. Chi ha a cuore il Conolly ha coinvolto anche il FAI – Fondo Ambiente Italiano: il “panopticon” è diventato uno dei suoi “luoghi del cuore”. È l’ultima traccia rimasta di un’utopia ottocentesca, che non va assolutamente dimenticata. L’estremo lacerto di un ospedale psichiatrico che, nei cento anni di attività, ha ospitato oltre centomila persone: soltanto nel 1939, aveva milleduecento pazienti; nel 1998, alla vigilia della chiusura, erano diventati appena dodici. Quello che rimane del Conolly è un documento unico, di storia, costume, architettura, e non soltanto. Va assolutamente salvato: le sue celle slabbrate, le stanze vuote, gli intonaci cadenti non possono più sopravvivere così stentatamente, e in questa assoluta rovina. I progetti ci sono; il più interessante è di ospitarvi l’archivio completo del manicomio, che per fortuna esiste ancora, ma è in un deposito privato. Il problema è il solito: e i quattrini?
FABIO ISMAN
Art Dossier n. 422, luglio-agosto 2024, p. 70-73
Connolly – art dossier – luglio agosto 2024