Maggioranza divisa su tutto: a chi giova la crisi di governo
1 Luglio 2022Barbara Kruger
1 Luglio 2022L’attuale ministro degli Esteri, staccatosi dai 5 Stelle, è l’espressione della spirale delusione/risentimento che genera un’antipolitica subalterna al modello neoliberale
La parabola di Luigi Di Maio era inevitabile non tanto per la qualità morale del personaggio, quanto per la natura stessa dei movimenti antipolitici e populisti. Quando le forze antipolitiche accedono ai parlamenti, se non ai governi, non possono che smettere di essere tali, dovendosi acconciare alla mediazione tipica dei regimi parlamentari e dell’azione di governo. L’“uno vale uno”, il famoso slogan grillino, non ha più valore; e ci si accorge che non è possibile aprire il parlamento come una scatola di tonno, pena la fine della democrazia e del valore della competizione elettorale, che ha condotto gli antipolitici in quello stesso parlamento.
Per di più, nell’azione di governo, si scopre che la società non è un Uno di cui farsi interpreti per conto del popolo. Istanze e desideri contrapposti caratterizzano il sociale e nessuno può occupare – per dirla con Claude Lefort – il luogo vuoto del potere, tipico della democrazia, in nome di un popolo compatto. Certamente, il populismo può sempre tentare di farsi regime quasi totalitario per imporre l’occupazione di quel luogo vuoto. Da un famoso stabilimento balneare di Milano Marittima, Matteo Salvini provò ad adombrare tale prospettiva proprio per superare gli ostacoli della mediazione e della rappresentanza. Non a caso, però, dopo le famose dichiarazioni del Papeete, il governo giallo-verde cadde rovinosamente dopo un solo anno di legislatura. A fronte di tutto questo, dunque, chi vuole rimanere a ogni costo sulla scena politica, non può far altro che rinnegare i precedenti assunti antipolitici che lo avevano portato su quella stessa scena.
Del resto, quello di Di Maio è solo in apparenza un tradimento delle sue precedenti posizioni. Andrà infatti detto che il populismo antipolitico non è una vera e propria contestazione dell’egemonia neoliberale. Non ne mette in discussione gli stili di vita, i modelli di consumo e, più in generale, l’immaginario. Anzi, nel momento in cui denuncia l’inadeguatezza delle classi dirigenti, l’inefficienza dell’istituzioni e la corruzione generalizzata del sistema politico, non fa che confermare, paradossalmente, quello stesso sistema. Sì, perché qualora le classi dirigenti e in genere il personale tecnico dell’amministrazione fossero composti di persone serie, oneste e competenti, il sistema potrebbe finalmente funzionare al massimo dell’efficienza, lasciando liberi i cittadini di dedicarsi ai propri interessi privati non più minacciati dall’avidità dei corrotti e incompetenti, ma valorizzati da un mondo sempre più fluido e sempre meno increspato dagli intralci della politica democratica.
Inoltre, populismo e antipolitica possono essere interpretati come forme di risentimento a seguito della crisi economica causata dal crollo finanziario del 2008. Tale risentimento non contesta, tutto sommato, i fondamenti del mondo liberale, ma rappresenta una sorta di lutto per il fatto che quel mondo non è riuscito a mantenere le promesse di una vita sollevata – tramite l’accesso continuo ai consumi e al godimento immediato garantito dalle nuove tecnologie e dall’informatica – dalla fatica tragica della libertà e dal conseguente impegno nella mediazione politica.
Insomma, il reale continua a presentarsi con il suo carico di casualità, dolore e inspiegabilità – persino sotto forma di pandemia – nella vita umana, anche nel nostro assetto neoliberale, che aveva promesso di eliminarlo grazie al godimento compulsivo dei consumi e al controllo di ogni aspetto della vita da parte della tecnica. Ma la morte e il corrispettivo desiderio di infinito non vengono meno né negli individui né nella società. E il loro incessante ripresentarsi genera l’odio antipolitico tipico del nostro tempo, il diffuso risentimento contro le istituzioni democratiche, che spinge sempre più a destra i delusi dalla mancata realizzazione della promessa neoliberale che intendeva eliminare il reale stesso dalle nostre vite. Si può allora concludere con l’affidare un compito alle forze democratiche e di sinistra: quello di pensare una democrazia che sappia confrontarsi con il reale, e che da questo e dai suoi fantasmi sappia trarre la possibilità di una vita più piena, in grado di spezzare la spirale delusione/risentimento.