L’esito delle elezioni francesi deve spingere a rileggere le “Riflessioni” del sociologo Georges Sorel, il manifesto del sindacalismo rivoluzionario appena ripubblicato
L’esito, a dir poco sorprendente, delle elezioni francesi ha certo a che fare con quanto è accaduto negli ultimi quindici giorni, a partire da quelle europee. Ma esse possono essere lette anche in una prospettiva di lungo periodo che affonda da un lato nella storia francese e dall’altro nel dibattito intellettuale europeo degli anni Venti e Trenta del Novecento. È allora che risale un conflitto, pur radicale, tra destra e sinistra, che non esclude però sorprendenti relazioni. Per esempio in rapporto all’uso produttivo del mito politico. A questo proposito può essere utile tornare alla figura di Georges Sorel, di cui l’editore Castelvecchi ha appena riproposto una nuova edizione del celebre libroRiflessioni sulla violenza , con un saggio di Alfonso Musci e un’introduzione di Fabio Martini.
Proprio quest’ultimo ricorda come nel 1932, a dieci anni dalla morte di Sorel, l’ambasciatore italiano a Parigi offrì la disponibilità del governo italiano a realizzare un monumento funebre in suo onore. Negli stessi giorni l’ambasciatore sovietico fece un’offerta analoga, rivelando una singolare convergenza di interessi tra fascismo e comunismo nei confronti dell’intellettuale francese. Del resto, già vent’anni prima, nel 1911, Mussolini e Nenni, rinchiusi nel carcere di Forlì per aver sostenuto la protesta violenta contro la guerra in Libia, leggevano con la stessa passione Sorel. Egli — ricorda il futuro segretario del partito socialista italiano — ci ammaliava per il suo disprezzo per i compromessi parlamentari. Così «studiavamo a fondo un libro, allora famoso,Riflessioni sulla violenza , che ebbe una grande influenza sulla generazione alla quale appartengo».
E del resto, a testimonianza della ambivalente fortuna dell’autore, basti pensare che dell’elenco dei suoi estimatori hanno fatto parte Croce, Gramsci, Togliatti, Pareto, Papini e Prezzolini. Pubblicate nel 1908 in Francia e tradotte l’anno seguente da Laterza, le Riflessionidi Sorel divennero presto il manifesto del sindacalismo rivoluzionario. Coniugando i due richiami all’uso politico della violenza e allo sciopero generale, esso catturava l’attenzione della destra e della sinistra in una miscela esplosiva che il fascismo non avrebbe tardato a sfruttare. Benché l’autore continuasse a collocarsi nell’alveo della sinistra, non esitando a esaltare Lenin e la rivoluzione bolscevica, la sua cultura estremistica si prestava a essere appropriata da Mussolini, egli stesso venuto dall’esperienza socialista. La macchina del consenso fascista consisteva proprio nella capacità di inglobare parte dei contenuti avversari, rovesciati nelle intenzioni e funzionalizzati ai propri scopi. D’altra parte non si dimentichi che perfino il nazismo aveva incorporato strumentalmente il socialismo nel suo stesso nome.
Nulla più del radicalismo antidemocratico e antiparlamentare di Sorel si prestava a questo trasferimento. Inizialmente influenzato da Proudhon, aveva fondato una rivista, Le Divenir Social, di ispirazione marxista, cui collaborarono i maggiori intellettuali di sinistra dell’epoca. Ma, pur all’interno di un marxismo eterodosso, egli si spostava rapidamente da una posizione riformista a una estremista, orientata in senso irrazionalista. Ciò che per lui contava non era adeguare l’azione alla ragione, ma questa a quella. Lettore vorace di Nietzsche, Freud e Bergson, Sorel ne tentava un’eclettica traduzione politica, anteponendo le pulsioni inconsce non solo alla razionalità, ma perfino agli interessi di classe. Da qui, contro l’economicismo marxista, il primato della volontà soggettiva e del mito comestrumento per acquisire il consenso delle masse. E quale mito era in grado di mobilitarle più di quello, sovversivo e violento, dello sciopero generale? In tal modo l’idea di rivoluzione, separata dal progressosociale, era pronta a essere adottata anche dall’ideologia regressiva della destra. L’importante, per Sorel, era saltare ogni mediazione a favore di una scelta diretta da una fede, accesa dall’emozione. A questopunto l’acquisizione fascista era solo questione di tempo.
Come ha documentato lo storico israeliano Zeev Sternhell, Sorel ha giocato un ruolo determinante tra gli intellettuali che si muovevano, in quegli anni, tra sinistra e destra, trasferendo parole d’ordine radicali da una parte all’altra. È una chiave decisiva per capire la vittoria del fascismo in Europa. Privo di un’originale ideologia, il fascismo lavorava su quella avversaria, utilizzandone la forza d’urto antidemocratica. Certo Sorel, morto qualche settimana prima della marcia su Roma, non ne è direttamente responsabile. D’altra parte, la valorizzazione del mito politico è fatta in quegli anni da Schmitt, ma anche da Bataille, da Mann e perfino da Gramsci. Il problema è la direzione verso cui il richiamo alle potenze mitiche è orientato. La crisi della sinistra, e in generale delle democrazie contemporanee, nasce anche dall’aver ceduto la gestione delle passioni calde alla destra, confinando la politica nel recinto della ragione tecnica. Antipolitica e il populismo ne sono le conseguenze più immediate. Il secondo turno delle elezioni francesi, concluse con la sconfitta della destra, segna forse un’inversione di rotta.
Per fronteggiare la mitologia autoctona del Rassemblement National, la sinistra ha mobilitato il popolo francese con le grandi parole d’ordine della sinistra. In questo modo ha rovesciato la potenza del mito politico contro chi lo usava in chiave nazionalistica. Scelta giusta — naturalmente sapendo che a un certo punto il mito va ricondotto alle esigenze della ragione.