Alla Fondazione Bally di Lugano, il mito ispira un percorso di contemporanei che, tra i quadri di Herman Hesse e un olio di Mario Schifano, provano a immaginare una integrazione nuovamente possibile tra uomo e natura
di
Brunella Torresin
LLUGANO e cartoline che a inizio Novecento reclamizzavano il Canton Ticino e Lugano come destinazione turistica esaltavano l’immagine di un paesaggio prealpino, luogo di escursioni e rustiche villeggiature. Solo in seguito alla realizzazione dell’elegante lungolago e a partire dagli anni Trenta lo sguardo si è spostato dalle vette alla conca d’acqua sottostante e dalle abetaie alle palme che, con sempre maggior frequenza, punteggiavano quella che si avviava a divenire l’idilliaca, arcadica Riviera svizzera. In questi stessi anni la danzatrice parigina Hélène Bieber, misteriosa, colta e cosmopolita, fece costruire un edificio neoclassico affiorante come un miraggio dallo specchio d’acqua, Villa Heleneum. Arcadia, la mostra collettiva d’arte contemporanea curata da Vittoria Matarrese per la Fondazione Bally, che a Villa Heleneum ha la sua sede permanente, trae ispirazione da questo spirito del luogo, dal sentirsi parte della trasformazione di una regione e insieme dall’interrogarsi su cosa significhi oggi natura e artificio, cosa realtà e chimera.
Sono venti gli artisti chiamati fino al 12 gennaio 2025 a interpretare una loro fantasticante e fantasticata Arcadia ticinese con opere site specific, commissioni e prestiti prestigiosi ( dalle collezioni Pinault, Giancarlo e Danna Olgiati e museo MAMCO di Ginevra). È una generazione di esordienti e mid- career, nati negli anni Ottanta, le cui radici spesso divise tra Europa e Mediterraneo scavano le fenditure che incrinano la superficie di ogni esotismo importato o vagheggiato. Alle loro opere si affiancano tre acquerelli dello scrittore Hermann Hesse, che dal 1919 si era stabilito non lontano da Lugano, tre grandi teste scolpite di Vanessa Beecroft (White Glazed Angel, Black Head e Granite,2022), un olio di Mario Schifano (Palma, 1973).
Racconta Vittoria Matarrese che la prima volta in cui mise piede a Villa Heleneum, fresca di nomina a direttrice artistica della Fondazione voluta dal marchio svizzero delle calzature Bally, dopo dodici anni da responsabile al Palais de Tokyo di Parigi, rimase folgorata dalla grande vetrata orizzontale al piano terra, affacciata come uno schermo cinematografico, come il diaframma dell’illusorietà, sull’indicibile bellezza del lago di Lugano. La mostra Arcadia si nutre della stessa meraviglia: il paesaggio esterno si travasa e trasfigura all’interno della villa e assume, di sala in sala, le forme di polifonici idilli, di creature proteiformi, armonie ibridate, universi emotivi.
In molti dei lavori esposti ricorre, quasi ossessivamente, l’immagine emblematica della palma: è la sagoma d’alluminio e lampadine colorate ripresa nella scultura di Yto Barrada, nata a Parigi da genitori marocchini e oggi pendolare tra New York e Tangeri, e sono le piante essiccate montate su lastre d’acciaio del tedesco Julius von Bismarck. Una palma affiora dalla tela dell’omonimo dipinto di Schifano; altre impressionano il negativo su plexiglas di Gabriel Moraes Aquino, il più giovane artista in mostra (è nato in Brasile nel 1994), le stampe in bianco e nero dei palmizi californiani fotografati da Adrien Missika e le immagini al microscopio che, ingigantite, compongono l’opera di Mehdi- Georges Lahlou. Julia Steiner, svizzera di Basilea, ha dipinto con tempera secca di carboncino una sorta di boschereccia che prolunga sulle pareti e il soffitto tra il secondo e terzo piano della villa le fronde degli alberi del parco. Raphaël Emine ha creato sculture biomorfe in grès smaltato destinate ad accogliere la vita delle api e altri insetti. Si deve a Maxime Rossi non solo uno straordinario video in realtà virtuale, Orchidaceous Extras ( 2023), che traendo suggestione dall’orchidea immaginaria disegnata a matita da Vladimir Nabokov per la copertina del suo romanzo Ada, ne insegue il ciclo vitale tra esplorazione botanica e deflagrazione d’immagini, ma anche la serigrafia reattiva ai raggi ultravioletti visibile al buio, Phantom Orchid, che estende il percorso diArcadia fino alla cappella di San Michele, su un’altura che domina il paesaggio circostante. Tra tutti si staglia il lavoro di Ittah Yoda, duo composto da Virgile Ittah ( nata a Parigi) e Kai Yoda (nato in Giappone): per Arcadia e durante una residenza a Villa Heleneum hanno popolato due sale con creature scolpite — una figura umana, un animale dal lungo collo ricurvo — modellate con cera e pietre raccolte in regioni diverse trasformate in concrezioni iridescenti, terre, essenze profumate, sagome di metallo riempite con acqua del lago di Lugano, e dipinti creati con inchiostri da pigmenti naturali.
La loro ricerca artistica coinvolge biologi e scienziati, modelli algoritmici e software 3D. Ogni loro opera rappresenta l’evoluzione di una precedente, ogni loro installazione un ambiente immersivo post- Antropocene, un ecosistema di convivenza di mondi organici e digitali, cui hanno dato il nome diSymbio(s)cene: l’ultima Thule, futuribile Arcadia.