Nuove sale, gli abiti che raccontano il gusto del loro tempo e dialogano con i dipinti nell’ultima iniziativa degli Uffizi Appello ai collezionisti: “ Aiutateci con i vostri pezzi”
di Elisabetta Berti
Il Museo della moda e del costume dell’era Verde introduce un concetto democratico contemporaneo dell’arte e della cultura: gli abiti non sono semplicemente, e solamente, oggetti d’arte decorativa, ma partecipano in pieno al gusto e all’estetica del tempo che li ha ispirati. Le otto nuove sale che ieri hanno inaugurato a Palazzo Pitti e che vanno ad aggiungersi agli spazi già presentati a dicembre dedicati al fashion del Novecento e ai primi anni del Ventunesimo secolo, non espongono soltanto abiti dal Settecento ai giorni nostri, ma anche quadri, sculture, vasi e libri che danno spessore alla storia del costume e della moda, ricostruendo contesti, evocando atmosfere, giocando con le corrispondenze. È così che “ La signora in bianco” di Giovanni Boldini, grande interprete in pittura della Belle epoque, rivolge il suo sguardo languido verso il lussuoso abito a rete nera su raso avorio di Catherine Donovan, la couturière che nel suo atelier su Madison Avenue vestiva le famiglie dell’elite newyorkese: i Vanderbilt, gli Astor, i Goelet. Mentre la tunica a tubolare di raso blu cobalto che Mariano Fortuny disegnò per Eleonora Duse in unperiodo in cui era lontana dalle scene, è affiancato dal ritratto in marmo che della “ divina” scolpì dopo la sua morte Arrigo Minerbi, artista prediletto di Gabriele D’Annunzio, creando un dialogo che rimanda al clima estetizzante dei primi decenni del Novecento. Un controcanto lo si potrebbe definire, che con opere di ritrattisti di Sette e Ottocento e di artisti d’avanguardia come Massimo Campigli e Corrado Cagli, completa e arricchisce di significato i sessanta abiti esposti, da quelli settecenteschi tipicamente “robe a la francaise”, a quelli in stile Impero e del periodo della Restaurazione, dai capi d’età romantica a quelli del periodo borghese di fine Ottocento. In gran parte italiani, altri di provenienza europea e statunitense. A questi si aggiungono altrettanti accessori tra scarpe, cappelli, ventagli, parasole e borse, selezionati da una collezione di 15mila pezzi formata grazie alle donazioni dei collezionisti negli ultimi cinquant’anni, da quando sul finire degli anni Settanta, nell’ambito della risistemazione del Museo degli argenti, nacque l’idea di istituire una galleria dedicata al costume storico, la prima in Italia. L’inaugurazione poi avvenne nel 1983 per volontà di Kirsten Aschengreen Piacenti, figura cardine per la storia di Palazzo Pitti. Oggi, dopo quasi cinque anni di chiusura, la riapertura del museo completamente riallestito « rappresenta il compimento del sogno di chi lo fondò» racconta il direttore Simone Verde, «ossia avere un museo enciclopedico di storia del costume » . Se nel passato si sono succedute mostre a base di selezioni tematiche, per la prima volta il Museo della moda e del costume individua nella collezione un nucleo principale, ordinato secondo un criterio storico-cronologico. «Abbiamo individuato un metodo – spiega la curatrice del museo Vanessa Gavioli – una rotazione nell’esposizione rimarrà necessaria per ragioni conservative, ma verranno esposti abiti diversi ma sempre degli stessi anni. Sarà un incentivo a tornare più volte». I 15mila capi però non bastano affinché il museo diventi un riferimento scientifico nel settore: « Ci sono lacune, specialmente nel periodo più recente, e per quanto riguarda gli abiti maschili. – racconta il direttore Verde – Presto cominceremo a fare acquisti sul mercato, ma faccio appello ai collezionisti affinché ci aiutino a completare la nostra collezione » . Intanto il percorso che comincia dal Settecento e termina coi primi anni Duemila, è punteggiato di pezzi appartenuti a grandi protagoniste della società: uno è il kimono in seta foulard di Jacques Doucet che faceva parte del guardaroba di Donna Franca Florio, nobildonna della Belle epoque e dama di corte della regina dal 1902, a cui appartenne anche il manto di corte in raso di seta e paillettes firmato da Charles Frederick Worth. Ad altro tipo di serate rimandano invece i capi donati da Patty Pravo, abiti da sera indossati al Festival di Sanremo: uno di Gucci, che la cantante vestiva nella finale del 1987, e uno di Versace con cui si presentò sul palcoscenico nel corso della terza serata per cantare “Per una bambola”.