Alla Biennale di Venezia, il progetto di Marco Scotini è una mostra nella mostra Con i video dedicati alle lotte per i dirittidi Olga Gambari
È una delle prime installazioni che accoglie negli spazi dell’Arsenale occupati dalla sessantesima Biennale d’Arte (fino al 24 novembre). Un’agorà corale di volti, voci e storie che corre come un corto circuito nel tempo e nelle geografie globali del pianeta. Quaranta monitor raccontano mondi e vicende, vicine e lontane, una selezione del grande archivio aperto e in progress che è il Disobedience Archive, creato nel 2004 da Marco Scotini come un patrimonio collettivo, un attacco a quei poteri autoritari e illiberali che violano i diritti fondamentali dell’individuo e di una società democratica. Poteri dominanti e ideologie, ma anche l’ignoranza e il pregiudizio, verso i quali la disobbedienza civile è necessaria, una ribellione diffusa, strumento di lotta dell’uno e dei molti, modello antagonista al sistema, un dissenso dal basso che può accendere la miccia. Il Disobedience Archive, questa volta con il sottotitolo “ The Zoetrope”, è stato scelto dal direttore della Biennale AdrianoPedrosa come un manifesto, e diventa una simbolica dichiarazione d’intenti attraverso un’opera la cui proprietà appartiene a tutti coloro che ne fanno parte, artisti, filmaker e attivisti. Scotini, infatti, ci tiene a sottolineare che lui ne è solo una sorta di custode, se ne prende cura raccogliendo un archivio in forma di anti- monumento civile e politico.
«La volontà dell’archivio, che vive solo nel tempo della mostra, consiste nel convocare tutti gli autori e le autrici in una piattaforma condivisa, una rete di contatti orizzontali e indipendenti – spiega – Un display effimero, in cui i partecipanti creano un’azione politica e sociale, che alla fine della mostra si disfa per risorgere la prossima volta, in altra forma e identità ». È una forza potente che si mette in moto, senza artifici estetici ed allestitivi, assumendo il senso di una protesta spontanea di piazza, sempre viva e vera. All’Arsenale il Disobedience Archive disegna una struttura circolare di pannelli pensata come uno zootropio, un apparecchio per la fruizionecollettiva di immagini stereoscopiche nato in Germania a metà Ottocento. Delinea un luogo intimo e insieme pubblico, dove sostare e mettersi in ascolto di vicende spesso sconosciute o dimenticate. Come quelle che videro l’attivismo del movimento dei Cinéastes pour les sans-papiers, un’epoca civile altissima raccontata da Madjiguène Cissé inNous, sans papiere de France… del 1997. Non sono mai le voci ufficiali dei media. I 40 video sono suddivisi in due sezioni: “ Diaspora Activism”, dedicata al tema della migrazione e della diaspora, e “ Gender Disobedience”, al movimento Lgbtq+. L’associazione non è cronologica ma per assemblaggio di contenuti, in un’eterogeneità di stili e linguaggi.
L’inizio del viaggio è datato 1975. «Inventur è un video del grande regista serbo Želimir Žilnik, appartenente alla nouvelle vague jugoslava, in cui mostra un edificio a Monaco di Baviera abitato da persone che sono quasi tutti italiani emigrati. Raccontano sogni e paure. Un bel parallelo ricordare il nostro passato recente pensando alle politiche migratorie italiane in questo momento».
I video vanno avanti per decenni, un archivio dagli anni ’ 70 ai Duemila, anche se ogni film e un archivio in sé. Scotini ne cita alcuni. Seba Calfuqueo, che fa parte della comunità cilena Mapuce, inNunca séras un weye. You will never be a weye del 2015 ricorda come prima del colonialismo, e dell’importazione cattolica, l’omosessualità fosse tollerata nella cultura pagana autoctona. María Galindo, transfemminista e psicologa, con il suo documentario Revoluciòn Puta sulle sex workers, prodotto insieme al collettivo anarco- femminista Mujeres Creando, sta anche salvando moltissime donne in Bolivia. La grande filmaker di origini iraniane Bani Khoshmundi, invece, inTransit, our traces, our ruins del 2016 mostra i molti cimiteri di anonimi africani che sono sparsi nel sud Italia, immagini che i media italiani non hanno mai fatto vedere.
Due sono gli italiani, Lorenzo Pezzani, un ricercatore che insieme ai collettivi Liminal e Border Forensics svela in Asymmetrie visions ( 2023) la sorveglianza totale del Mediterraneo da parte di squadre di droni, « per cui non pensiamo che sia ancora il luogo in cui ci si imbatte inaspettatamente in una barchetta alla deriva » . L’altro italiano è Simone Cangelosi, che ha lavorato su un attore di Federico Fellini, Marcello Di Fulco, diventato poi Marcella. Il film Una nobile rivoluzione ( 2014) ne è un ritratto struggente, oltre ad essere una profonda ricerca sulla storia dei trans italiani, di cui Marcella fu a lungo presidente. Altre voci dissidenti sono quelle del Black Audio Film Collettive, Critical Art Ensemble, Hito Steyerl, Anand Patwardhan, Güliz Sa?lam e Zanele Muholi, parlano di movimenti globali LGBTQ+, boicottaggi, resistenza, controinformazione contro la dominazione coloniale, patriarcale e capitalista, si alzano in difesa degli umili di Bombay, dei palestinesi.