Il poeta e il compositore avevano molti punti in comune a iniziare dalla scelta dell’abitazione. Una mostra a Barga racconta le loro dimore attraverso documenti e oggetti
di Elisabetta Berti
Giacomo Puccini e Giovanni Pascoli non furono mai amici, però si piacevano. Si limitarono a scriversi lettere, a vagheggiare collaborazioni che mai si realizzarono, e nonostante le loro residenze di Castelvecchio e Torre del lago non fossero troppo lontane, non si frequentarono se non in un paio di occasioni. La loro fu piuttosto ammirazione a distanza, una stima reciproca che li unì dal 1898, quando si conobbero per tramite del comune amico Alfredo Caselli, mecenate e proprietario di uno dei caffè storici di Lucca, fino alla morte del poeta, il primo ad andarsene, nel 1912.
Eppure ripercorrendo le loro storie colpiscono i punti di contatto: le vicende personali, le passioni, gli interessi, perfino le loro inclinazioni si somigliarono e coincisero in tratti fondamentali, a partire dalla scelta della casa, che per entrambi fu molto più che una semplice abitazione. Una pagina della vita di Pascoli e di Puccini — di quest’ultimo ricorrono i cento anni della morte — a cui ha voluto dedicare un focus la Fondazione Ricci di Barga con la mostra “ Il dolce vivere al tempo di Giovanni Pascoli e Giacomo Puccini”, ospitata fino al 31 agosto a Villa Caproni ed organizzata con la collaborazione della Fondazione Giovanni Pascoli di Barga, la Fondazione Simonetta Puccini di Torre del lago, l’Istituto storico lucchese e l’Archivio Fazzi. Un parallelo tra i due giganti della cultura italiana condotto attraverso i documenti, gli oggetti e le fotografie provenienti dai rispettivi archivi, il cui motore è stato uno studio inedito sulle dimore, oggi case-museo, che per entrambi furono amore a prima vista.
Pascoli arrivò a Castelvecchio nel 1895, in una villa settecentesca di una famiglia locale che inizialmente prese in affitto poi, conquistato dalla bellezza dei luoghi, nel 1902 la acquistò nonostante l’impegno economico oneroso per lui che viveva dello stipendio di professore universitario. Per sostenere la spesa dovette vendere le medaglie d’oro che aveva vinto al concorso di poesia latina di Amsterdam. Dopodiché la ristrutturò completamente in stile neoeclettico: negli interni ma in particolare nella parte esterna, un grande giardino recintato dove fece costruire il cosiddetto “colosseo”, una limonaia che lui stesso aveva progettato nel 1905.
Dinamica analoga per Puccini: dopo aver vissuto per qualche anno in affitto nella casa del guardiacaccia sulle sponde del lago di Massaciuccoli, decise di acquistarla per poi ristrutturarla rendendola quel villino in stile Liberty che vediamo oggi. Fu una trasformazione radicale in cui si impegnò in prima persona con una dedizione che scherzando definiva “mal del calcinaccio”. Del resto la nuova casa significò per entrambi un voltare pagina ritirandosi in luoghi isolati, lontani dalla città: all’epoca Castelvecchio era poco più di un eremo e Torre del lago una palude. Pascoli vi approdava da Livorno col desiderio di cambiare vita dopo il matrimonio della sorella vissuto come un abbandono; Puccini invece lasciava Lucca e i giudizi morali sulla sua relazione con una donna sposata, Elvira Bonturi. Con una nuova casa, che entrambi vollero personalizzare come si documenta con carte ed immagini, si ricostruivano le loro vite, e lì crearono alcune delle loro opere migliori: i “ Canti di Castelvecchio” e “ Madama Butterfly”, solo per fare degli esempi.
Ma c’è di più. La mostra, curata da Cristiana Ricci, Patrizia Mavilla, Sara Moscardini e Manuel Rossi, si spinge ad elencare, e dimostrare, i dodici punti in comune tra il poeta e il compositore: il vizio del fumo, a cui rimanda la pipa di Pascoli temporaneamente esposta a Barga, mentre è ben noto il vero e proprio accanimento di Puccini per il sigaro; tutti e due amavano le armi, anche se il fucile normalmente esposto nella casa museo di Castelvecchio veniva usato solo per il birdwatching, e Puccini invece era un cacciatore sfegatato; condivisero anche la passione per la fotografia, tanto che collezionavano macchine fotografiche esposte in mostra insieme alle foto scattate, ed entrambi furono grafomani capaci di riempire pagine e pagine di appunti e schizzi. Perfino le ultime volontà si somigliano perché sia poeta sia compositore desideravano essere seppelliti nella cappella privata annessa alla casa a cui avevano voluto tanto bene. Se alla memoria di Puccini pensò la nipote Simonetta che creò una fondazione per gestire i beni della sua dimora, per Pascoli fu la sorella Mariù a mantenere intatta la casa fino al 1953, quando la vendette al Comune di Barga che ne è ancora il proprietario.