Il 21 dicembre 1872 da Portsmouth salpa la nave HMS Challenger concessa dalla Marina Reale inglese per una spedizione promossa da Charles Wyville Thomson dell’università di Edimburgo e dalla Società reale di Londra. Ha lo scopo di esplorare e studiare degli oceani: coprono l’80 per cento della superficie della terra. Starà in giro, procedendo a zig zag, per tre e anni e mezzo, percorrerà 68.890 miglia marine e compirà 497 esplorazioni sulle profondità dei mari, raccoglierà 13 mila tipologie di specie animali e piante, 1441 campioni d’acqua e farà rilievi dei fondali, estrarrà con la draga centinaia di esemplari di fango e di rocce e scoprirà migliaia di nuove specie. A bordo ci sono 243 persone: equipaggio, ufficiali e scienziati. Sino ad allora di quanto c’è sotto la superficie del mare, il vero sprofondo della terra, la parte degli oceani che si trova sotto i 300 metri dalla superficie, zona mai raggiunta dalla luce del sole, nessuno sa nulla. A 150 metri ne resta solo l’1 per cento, e sotto i 900 è completamente buio: è il “mare profondo”.

 

 

Oggi conosciamo la profondità media degli oceani — intorno ai 3700 metri — ma, come scopriranno gli scienziati di Challenger, contiene avvallamenti di ben altra dimensione. Il 23 marzo 1875 individuano nell’Oceano Pacifico, vicino alle Isole Marianne, la prima e decisiva fossa oceanica. Prenderà il nome di Challenger Deep e la sua profondità sarà fissata solo successivamente: 10.898 metri sotto il livello del mare, 2.000 metri più della più alta montagna terrestre, l’Everest.

 

 

L’altra grande scoperta, o riscoperta, è quella della dorsale medio atlantica, già indicata da M. F. Maury nel 1854, che aveva indotto molti a ritenere di aver ritrovato la perduta Atlantide. Le ricerche di Challenger dimostreranno che non è così.

 

 

All’epoca si pensava che i bacini oceanici fossero strutture permanenti della superficie terrestre; bisognerà attendere il 1912 quando il meteorologo e visionario tedesco Alfred Wegener ipotizzerà che i continenti scivolino orizzontalmente sulla superficie terrestre solcando i bacini oceanici, piatti e amorfi, come le navi che li attraversano: è la teoria della deriva dei continenti. Ancora non si conosceva il funzionamento dello stiramento tettonico, una delle due grandi forze che plasmano il fondo dell’oceano. La seconda è la spinta vulcanica: la roccia sale dal mantello caldissimo sotto la dorsale medio-oceanica spostando in questo modo le placche. Il fondo dell’oceano in definitiva è giovane. La terza forza che modella il fondo dei mari è l’erosione, l’azione costante di vento e pioggia, per quanto nel mare profondo non ci siano né vento né pioggia, solo la lieve nevicata del sedimento.

 

 

Con Challenger si ha una nuova immagine del mare. Tuttavia per avere una prima mappa plausibile, bisognerà attendere Marie Tharp e Bruce Heezen, entrambi geologici. Marie possedeva un indubbio talento di disegnatrice e nel 1957 mette a punto la prima mappa fisiografica del Nord Atlantico, poi emendata e approfondita da altri ricercatori.

 

 

La difficoltà vera che gli oceanografi avevano incontrato fino all’invenzione dei sonar è che la profondità è nascosta dall’acqua stessa, e questa meravigliosa sostanza fa sì che il mare sia opaco. La luce solare penetra nei suoi strati superficiali e vengono assorbite le lunghezze d’onda maggiori — la luce rossa –, mentre la luce blu è diffusa: per questo il mare è azzurro. Come capiranno tutti coloro che scenderanno successivamente in fondo all’oceano, la gravità perde importanza e le uniche superfici esistenti sono quelle di altri animali, come spiega Robert Kunzig. Come nella celebre storiella raccontata da David Foster Wallace, i giovani pesci che vi nuotano spensierati non vedono l’acqua, ed è giusto così. Restare sospesi è la condizione più normale in un mondo veramente tridimensionale. Non a caso la maggior parte delle creature che ci sono laggiù, esclusi forse i “vermi”, sono composte per il 95 per cento di acqua e gelatina, anche perché non c’è luce, e solo alcuni animali sono dotati di bioluminescenza, come racconta Edith Widder in Sotto la soglia delle tenebre. Chi vive nel fondo? Forse il mitico Kraken, di cui si favoleggia a partire da incontri casuali con cefalopodi mostruosi? Mistero.

 

 

Challenger Deep ha comunque continuato ad attirare gli esseri umani. Auguste Piccard, fisico e inventore, è il primo ad allestire un batiscafo per scendere laggiù. Si chiama FNRS-2, ma è col secondo, Trieste, di costruzione italiana, che Jacques Piccard, figlio dell’inventore, e Don Walsh, un oceanografo americano, il 23 gennaio 1960 scendono sino al fondo della Fossa delle Marianne, dove nessun uomo è mai arrivato. Impiegano nove ore a raggiungere il “nulla”, come disse Piccard, l’abisso degli abissi. Sul fondo accendono il faro e guardano fuori dal piccolo oblò. Il francese vede passare un pesce, gli pare una sogliola: non è possibile, più probabile un cetriolo di mare. La pressione là sotto è impressionante e l’oblò s’è incrinato. Per risalire attraversano per quattro ore la notte acquatica. Nel marzo del 2012 il regista James Cameron compie una seconda discesa in solitaria con un sommergibile progettato appositamente; ne ha tratto foto e altre immagini. Nel 2019 Victor Vescovo, un militare in pensione divenuto ricco attraverso l’attività d’investitore, è stato il quarto uomo a toccare il Challenger Deep, impresa poi da lui bissata nella Fossa di Porto Rico, in Antartide, nell’Oceano indiano e persino nel Mare Artico.

 

 

Perché voler raggiungere i luoghi più inaccessibili e lontani del mondo? Si è chiesto Patrik Svensson. Risposta non c’è. In 50 anni 500 persone sono state nello spazio, 10 mila hanno scalato l’Everest, 12 hanno camminato sulla Luna, ma soltanto 4 sono scesi nel Challenger Deep. Più in basso di così non si può andare. Ne è valsa la pena? Anche a questa domanda è difficile rispondere. Gli oceani li abbiamo solcati, ma non li abbiamo conquistati, e ancora non li conosciamo davvero. Secondo Rachel Carson, autrice di Il mare intorno a noi, il mare suscita il richiamo della transitorietà. Verrà un tempo, ha scritto, in cui tutto sulla terra sarà inghiottito dal mare. L’oceano ci attende da tempo e solo allora ci ricongiungeremo a lui.

Per approfondire:

R. Kunzig, La frontiera profonda (Longanesi); P. Svensson, L’uomo con lo scandaglio (Iperborea); E. Widder, Sotto la soglia delle tenebre (Bollati Bopringhieri); R. Carson, Al vento del mare (Casini); R. Carson, La vita che brilla sulla riva del mare (Aboca); E. Bonatti, Frammenti di discesa (Ianieri Edizioni)

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