Un nuovo editto vieta alle donne di parlare in pubblico La storia di una giovane che insegna ad altre come sopravvivere
Anche adesso, sotto questa veste nera che le copre il viso, gli occhi, le mani, i desideri, Maryam non dimentica la libertà. Aveva fatto in tempo a laurearsi in Economia, era il 2019, faceva l’insegnante, era felice: «La mattina presto andavo in palestra, colazione e poi di corsa a scuola», ricorda. Due anni dopo, il precipizio. La fuga degli americani da Kabul, il tradimento dell’amministrazione Ghani, sostenuta dall’Occidente. E l’arrivo al potere dei fondamentalisti islamici, che avevano dilaniato il Paese piazzando bombe contro i civili. «I talebani ci hanno cancellate. Ci hanno tolto il nostro diritto naturale di esseri umani. Io mi sento una schiava, ma ho deciso di resistere fondando una scuola clandestina». Maryam ha 28 anni, accetta di parlarci dall’Ovest dell’Afghanistan a patto di «non scrivere il mio vero nome né in quale città vivo».
Pochi giorni fa, i talebani hanno emanato l’ennesima legge mortifera contro le donne, dopo averle già costrette in casa vietando loro scuole, palestre, centri estetici, parchi. Ora devono coprirsi integralmente in pubblico, anche gli occhi e anchein casa, se ci sono estranei. Hanno diritto di uscire solo «in caso di necessità ». E anche così, una volta fuori, non possono parlare: non devono far sentire la loro voce per «non indurre gli uomini in tentazione». Non possono incrociare lo sguardo di un “maschio” che non sia di famiglia altrimenti rischiano: una multa, il carcere, torture, nessuno lo sa davvero perché i miliziani hanno potere totale sulle vite degli cittadini. Non c’è più il diritto in Afghanistan, c’è la violenza arbitraria.
A mettere la firma sul nuovo editto è stato il leader del regime, Hibatullah Akhundzada, un pacchetto repressivo che contiene norme già esistenti e nuove leggi per la “prevenzione del vizio”. Negli ultimi tre anni, i funzionari del ministero hanno arrestato più di 13mila persone per “atti immorali”. Il ministro dell’Istruzione ha chiarito che «così come è vietata l’istruzione alle ragazze, anche le domande sull’istruzione delle ragazze ora sono vietate».
Per le donne è la notte. Possono uscire di casa per necessità ma solo accompagnate da un muharram, un protettore. Altrimenti niente bus, niente taxi. «Vado a fare la spesa con mio marito, dico a lui le cose di cui ho bisogno e lui parla con il commerciante, io non posso. Se disubbidisco, rischio che arrestino me o lui», racconta Maryam. Neppure lamorte merita clemenza. «Una mia amica non è riuscita a salutare suo marito malato terminale in ospedale a Kabul perché non le hanno fatto il biglietto dell’autobus: non aveva nessuno che l’accompagnasse».
Ossessionati dal femminile e dalla sharia, i talebani hanno vietato anche le immagini di esseri viventi, umani e animali, e gli strumenti musicali oltreché la musica stessa. Controllano ogni cosa, anche i telefonini per accertarsi che non ci siano foto, video o canzoni. Gli uomini per strada non se li portano per non essere perquisiti. Anche loro sono terrorizzati, depressi. «Hanno paura che i talebani portino via le loro figlie bambine per costringerle a matrimoni precoci o per stuprarle».
Quando gli americani se ne sono andati, Maryam ha rischiato di impazzire. «Sono rimasta in casa per quasi un anno, le mie condizioni mentali peggioravano: la vita e la morte non erano più molto diverse nella mia testa». È stato allora che con un’amica ha fondato una scuola per ragazze. Clandestina.
Si incontrano nel seminterrato di un edifico e in una grotta naturale, arrivano in momenti diversi per non dare nell’occhio, accompagnate da figli, fratelli o mariti solidali e coordinandosi con il passaparola. Nascondono i quaderni e le matite sotto il burqa. Qualche amico dall’estero dà una mano, grazie all’ultimo salvavita: Internet. «Insegniamo cucito, inglese, informatica, disegno, artigianato, cose con cui le nostre studentesse possono costruirsi un piccolo business domestico». È un lavoro molto pericoloso, potrebbero essere «catturate o uccise ma se smettiamo moriremo di depressione». Le Nazioni Unite hanno registrato un’impennata di suicidi tra le donne in Afghanistan, un’epidemia di disperazione sociale. Nella città di Maryam in giro ci sono solo uomini. «Mi manca prendere un tè, l’odore di un libro. Il respiro entra e esce dai nostri corpi, ma nella sostanza non c’è vita. A casa ascolto ancora musica e canto, a bassa voce. Con la scuola cerchiamo di far si che i nostri cuori non si spengano». L’Onu ha criticato le nuove regole talebane con toni pacati, ma non è bastato: il governo ha annunciato che non collaborerà più con chi «offende l’Islam».
Nel cortile di casa, Maryam tira su il velo giallo che incornicia gli occhi neri e le sopracciglia spesse, ci salutiamo. «Molti spingono per riconoscere i talebani, ma l’unico aiuto chepotete darci è non farlo».