Philosophie magazine 23/9/2024
23 Settembre 2024Ci fu chi lo voleva, gli allievi di Maritain (PaoloVI, Moro, La Pira)
23 Settembre 2024L’INTERVENTO
Anticipiamo una sintesi della riflessione che l’arcivescovo Bruno Forte svolgerà il prossimo 26 settembre durante le celebrazioni in occasione dell’anniversario della nascita del Pontefice bresciano a Concesio
Lo scorso 6 agosto si sono compiuti sessant’anni dalla pubblicazione dell’Ecclesiam suam (6 agosto 1964), l’enciclica che fu il manifesto del pontificato di Paolo VI. Il 26 settembre ricorre, poi, l’anniversario della nascita del santo Pontefice, avvenuta a Concesio, in provincia di Brescia, il 26 settembre 1897. Invitato a celebrare nel paese natale del grande Papa proprio in questo giorno, ho scelto di dedicare la mia riflessione al tema del dialogo, che caratterizza forse più di ogni altro il magistero di Giovanni Battista Montini. Egli era profondamente convinto che fosse proprio il dialogo la via con cui la Chiesa avrebbe potuto evangelizzare il mondo contemporaneo e concepire la sua missione apostolica, sia all’interno del popolo di Dio che nel suo rapporto con l’intera famiglia umana. Nella lettura che Montini ne dà, il dialogo si fonda sull’amore con cui Dio si è destinato a ogni uomo in Gesù Cristo, rendendolo capace di relazioni feconde nei rapporti ecclesiali, come nella relazione fra la Chiesa e la comunità degli uomini. Testimonia la centralità del dialogo lo stesso Paolo VI nell’Ecclesiam suam, quando afferma che il dialogo fra la Chiesa e il mondo moderno «è problema che tocca al Concilio descrivere nella sua vastità e complessità, e risolvere, per quanto è possibile, nei termini migliori. Ma la sua presenza, la sua urgenza sono tali da costituire un peso nell’animo nostro, uno stimolo, una vocazione quasi, che vorremmo a noi stessi ed a voi, fratelli, sicuramente non meno di noi esperti del suo tormento apostolico, in qualche modo chiarire, quasi per renderci idonei alle discussioni e alle deliberazioni che nel Concilio insieme crederemo di prospettare in così grave e multiforme materia» (n. 15). Con tono programmatico, poi, il Pontefice aggiunge: « La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio… Né possiamo fare altrimenti, nella convinzione che il dialogo debba caratterizzare il nostro ufficio apostolico» (nn. 67 e 69). Alla luce degli insegnamenti di Paolo VI vorrei qui richiamare tre aspetti fondamentali del dialogo: il suo nascere e svilupparsi nell’ascolto; il suo progredire nella libertà; il suo essere inseparabile dalla responsabilità. Solo chi accetta di mettersi in ascolto dell’altro, rinunciando a ogni pretesa
su di lui e aprendosi al primato della verità, cui tutti dobbiamo obbedienza, è in grado di dialogare. Afferma Paolo VI: « Noi abbiamo ogni giorno sulle labbra e nel cuore il Magnificat, l’inno sublime della Madonna, la quale proclama davanti a Dio e a quanti ne ascoltano la dolcissima voce, la sua umiltà di serva (cf. Lc 1, 48), e nello stesso tempo celebra le grandezze operate da Dio in lei, e profetizza l’esaltazione che di lei faranno tutte le umane generazioni ( Lc 1, 48s) … L’uomo religioso non può non essere umile. L’umiltà è verità… Siamo piccoli; e noi, per di più, siamo peccatori… L’esempio di Cristo ci sarà scuola e modello di umiltà… » ( Udienza Generale, 5 febbraio 1975). Dialoga chi sa ascoltare con umiltà: occorre far tacere pregiudizi e paure ed essere aperti al nuovo, accogliendo l’altro con fiducia come l’ospite interiore, desiderosi di vivere la comune appartenenza alla verità che ci supera e all’amore che ci salva. In questa linea, il santo Papa – rivolgendosi agli uomini di pensiero e di scienza sottolineava l’importanza per la Chiesa di mettersi in ascolto di tutti i cercatori e servitori della verità: «Tutti noi, Vescovi, Padri del Concilio, siamo in ascolto della verità… Noi dunque non potevamo non incontrarci con voi. Il vostro cammino è il nostro. I vostri sentieri non sono mai estranei ai nostri. Noi siamo gli amici della vostra vocazione di ricercatori, gli alleati delle vostre fatiche, gli ammiratori delle vostre conquiste e, se occorre, i consolatori dei vostri scoraggiamenti e dei vostri insuccessi» ( Chiusura del Concilio Vaticano II. Messaggio agli uomini di pensiero e di scienza, 8 dicembre 1965, nn. 2 e 3). In secondo luogo, il dialogo ha bisogno di libertà. Per aprirsi all’altro e accoglierlo bisogna essere liberi da sé, disposti a mettersi in discussione; liberi dagli altri, rifiutando i condizionamenti e le paure che a volte essi impongono; liberi per amore di Colui che è la verità, che ci fa liberi (cf. Gv 8,32). Afferma Paolo VI: « Dobbiamo educarci all’uso sempre più umano e cristiano della libertà. Non potremo progredire nella vita cristiana, né in quella ecclesiale, se non avremo progredito nell’autentico e legittimo uso della libertà… Cristo c’insegni come» ( Udienza Generale, 5 febbraio 1969). E il come lo ha insegnato a tanti anche il modo d’agire e di dialogare del grande Pontefice, che non ha mai cercato il consenso a basso prezzo, preferendo sovente di essere criticato o incompreso piuttosto che rinunciare a testimoniare fino in fondo la verità che libera e salva. Infine, non c’è dialogo senza responsabilità. Il dialogo non elimina, anzi accresce il senso di responsabilità che ciascuno deve avere nei confronti del bene di tutti. Il 14 maggio 1971, ricordando l’ottantesimo anniversario della Rerum novarum di Leone XIII, il Papa firmava la lettera apostolica Octogesima Adveniens, nella quale richiamava fortemente alla responsabilità verso i poveri e la giustizia per tutti, attraverso un impegno sviluppato «mediante la sensibilità propria della chiesa, rafforzata da una volontà disinteressata di servizio e dall’attenzione ai più poveri» (n. 42). Nella stessa lettera sottolineava anche, con fine attenzione ai tempi, la responsabilità verso l’ambiente: « Attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, l’uomo rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente…, ma è il contesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana. A queste nuove prospettive il cristiano deve dedicare la sua attenzione, per assumere, insieme con gli altri uomini, la responsabilità di un destino diventato ormai comune» (ib.). Si colloca bene in questa prospettiva una preghiera pronunciata dal grande Papa all’Angelus del 1 gennaio 1970, con la quale chiede all’Eterno di renderci tutti capaci di ascolto, di dialogo e di obbedienza alla verità, e proprio così operatori di pace: «Signore, Dio di pace, … noi ti benediciamo e ti rendiamo grazie perché ci hai inviato Gesù, tuo Figlio amatissimo, e hai fatto di lui, nel mistero della sua Pasqua, l’artefice di ogni salvezza, la sorgente di ogni pace, il legame di ogni fraternità. Noi ti rendiamo grazie per i desideri, gli sforzi, le realizzazioni che il tuo Spirito di pace ha suscitato nel nostro tempo, per sostituire l’odio con l’amore, la diffidenza con la comprensione, l’indifferenza con la solidarietà. Apri ancor più i nostri spiriti ed i nostri cuori alle esigenze concrete dell’amore di tutti i nostri fratelli, affinché possiamo essere sempre più dei costruttori di pace. Ricordati, Padre di misericordia, di tutti quelli che sono in pena, soffrono e muoiono nel parto di un mondo più fraterno. Che per gli uomini di ogni razza e di ogni lingua venga il tuo regno di giustizia, di pace e d’amore. E che la terra sia ripiena della tua gloria!».
Arcivescovo di Chieti-Vasto