Cosa intendeva il sindaco di Genova, Marco Bucci, quando ha detto che fare figli fa bene alla società? E quando ha annunciato che non averli non è solo un problema economico? Perché ha sentito il bisogno di precisare che vorrebbe che tutti i candidati alla presidenza di una regione li avessero fatti? Dopo le polemiche che si sono scatenate, Bucci ha dichiarato di essere stato travisato. Può darsi. Ma siccome, per spiegarsi meglio, ha aggiunto solo: “Vorrei che tutti avessero figli”, è difficile orientarsi. Non si capisce se mettere al mondo un figlio, per lui, sia un dovere, un desiderio, una qualità, un merito o una scelta. Né si capisce cosa significhi, per lui, essere un genitore. Un figlio non è un oggetto che si “fabbrica”, né, tantomeno, un appuntamento da mettere in agenda. Ci si può provare, per carità. C’è anche chi ci riesce, certo. Ma con quali risultati a lungo termine? Anche i figli, nei discorsi di alcuni, sembrano dover rientrare all’interno del paradigma del controllo: “voglio, faccio, ottengo”. E se, invece, la genitorialità fosse uno di quegli eventi che sfuggono completamente al controllo?
Qualcosa che capita, oppure no, talvolta indipendentemente da ciò che si vuole. Un sogno, che per alcuni non si realizza. Una speranza, che talvolta viene delusa. Oppure anche un incubo, perché non è il momento, non si è pronti, non ce la si fa, non si è in grado.
Se c’è una cosa che mi infastidisce, è questa tendenza tutta contemporanea alla banalizzazione e alla semplificazione dei problemi più complessi. Questo modo di parlare dei bambini e dei giovani come se si trattasse di pedine daspostare sulla scacchiera della società, come pezzi di un gioco che, tanto, li esclude poi sistematicamente dalla partita. Si gioca sulla loro sorte, esattamente come si gioca sul destino del nostro paese. Strumentalizzando al tempo stesso i genitori e i figli. Sembra che fare figli sia come sfornare pagnotte: li si deve fabbricare per far andare avanti la società. Senza mai interrogarsi su come li cresce, sulle possibilità che si offrono loro, sul futuro incerto che gli si sta lasciando in eredità. E poi, se vogliamo dirla tutta, ci sono pure persone che, forse, avrebbero dovuto pensarci due volte prima di fare un figlio, e poi disinteressarsene. Nessuno di noi chiede di nascere, e accade che la vita possa diventare una maledizione. Cosa ne pensano, tutte coloro che amano tanto la retorica della famiglia tradizionale, papà, mamma e figli, di quei ragazzi che oggi stanno male, e attraverso i propri sintomi, talvolta devastanti, ci buttano in faccia le menzogne e la retorica con cui li abbiamo cresciuti? Su un punto, allora, Bucci ha ragione: quando si parla di figli, non si parla solo di un problema economico. Diventare madre o padre, quando si ha la chance di poter mettere al mondo un figlio, cambia tutte le coordinate di un’esistenza. Cambiano gli equilibri e cambiano le priorità. Cambia il modo in cui ci si proietta nella vita. Cambia tutto. Ovvero, dovrebbe. Perché poi il problema è proprio questo: talvolta non si è disposti a cambiare nulla, e i figli servono solo per dirsi: anche questa è fatta. Una casella spuntata nella lista delle cose da fare.