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13 Luglio 2022How Italy’s biggest steel mill makes a mockery of EU environmental rules
13 Luglio 2022Marcello Musto discute con Étienne Balibar, Silvia Federici e Michael Löwy delle colpe della Russia, del ruolo della Nato e di quello che possiamo fare per porre un freno all’orrore in corso
La guerra in Ucraina è giunta al suo quarto mese. Secondo l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha già causato la morte di circa cinquemila civili e costretto quasi cinque milioni di persone a lasciare le proprie case per fuggire all’estero. Questi numeri non includono i caduti militari – almeno diecimila ucraini e probabilmente di più dalla parte russa – e i milioni di sfollati all’interno dell’Ucraina.
L’invasione ha comportato anche la distruzione di città e infrastrutture civili che richiederanno generazioni per essere ricostruite. L’entità dei grandi crimini di guerra, come quelli commessi durante l’assedio di Mariupol, deve ancora venire completamente alla luce.
Per riflettere sulla guerra, Marcello Musto ha discusso con Étienne Balibar, Silvia Federici e Michael Löwy delle colpe della Russia, del ruolo della Nato e dei percorsi per porre fine alla guerra.
MARCELLO MUSTO: L’invasione russa dell’Ucraina ha riportato in Europa la brutalità della guerra e ha posto il mondo di fronte al dilemma di come rispondere all’attacco alla sovranità ucraina.
MICHAEL LÖWY :Finché Vladimir Putin voleva proteggere le minoranze di lingua russa della regione di Donetsk, c’era una certa razionalità nelle sue politiche. Lo stesso si può dire della sua opposizione all’espansione della Nato nell’Europa orientale. Tuttavia, questa atroce invasione dell’Ucraina, con bombardamenti di città, migliaia di vittime civili, tra cui anziani e bambini, non ha alcuna giustificazione.
ÉTIENNE BALIBAR: La guerra che si sviluppa davanti ai nostri occhi è «totale». È una guerra di distruzione e terrore condotta dall’esercito di un paese vicino più potente, il cui governo vuole intraprendere un’avventura imperialista senza ritorno. L’imperativo urgente e immediato è che la resistenza degli ucraini regga, e che a tal fine debba essere e sentirsi davvero sostenuta da azioni e non da semplici sentimenti. Quali azioni? Qui inizia il dibattito tattico, il calcolo dell’efficacia e dei rischi della «difesa» e dell’«attacco». Tuttavia, «vediamo che succede» non rappresenta un’opzione.
MARCELLO MUSTO: Accanto alla giustificata resistenza ucraina, c’è la questione altrettanto critica di come l’Europa possa evitare di essere vista come un attore della guerra e contribuire invece, per quanto possibile, a un’iniziativa diplomatica per porre fine al conflitto armato. Da qui la richiesta di una parte significativa dell’opinione pubblica – nonostante la retorica bellicosa degli ultimi tre mesi – che l’Europa non partecipi alla guerra. Il primo punto è evitare ancora più sofferenze alla popolazione. Perché il pericolo è che, dopo essere stata martirizzata dall’esercito russo, l’Ucraina venga trasformata in un campo caldo di battaglia che riceve armi dalla Nato e combatte una lunga guerra per conto di coloro che a Washington sperano in un indebolimento permanente della Russia e in una maggiore dipendenza militare dell’Europa dagli Stati uniti. Se ciò dovesse accadere, il conflitto andrebbe oltre la piena e legittima difesa della sovranità ucraina. Coloro che, fin dall’inizio, hanno denunciato la pericolosa spirale di guerra che avrebbe seguito le spedizioni di armi pesanti in Ucraina non sono certo ignari delle violenze quotidiane ivi perpetrate e non desiderano abbandonare la sua popolazione alla potenza militare della Russia. «Non allineamento» non significa neutralità o equidistanza, come suggerito da varie caricature strumentali. Non si tratta di astratto pacifismo di principio, ma di concreta alternativa diplomatica. Ciò implica valutare attentamente ogni azione o dichiarazione a seconda che si avvicini all’obiettivo chiave della situazione attuale: aprire negoziati credibili per ristabilire la pace.
SILVIA FEDERICI: Non esiste alcun dilemma. La guerra della Russia all’Ucraina deve essere condannata. Niente può giustificare la distruzione delle città, l’uccisione di persone innocenti, il terrore in cui migliaia di persone sono costrette a vivere. Qualcosa di molto più importante della sovranità è stata violata in questo atto di aggressione. Tuttavia, sono d’accordo, dobbiamo anche condannare le numerose manovre con cui gli Stati uniti e la Nato hanno contribuito a fomentare questa guerra, e la decisione degli Stati uniti e dell’Ue di inviare armi in Ucraina, cosa che prolungherà la guerra indefinitamente. L’invio di armi è particolarmente discutibile considerando che l’invasione russa avrebbe potuto essere fermata, se gli Stati uniti avessero dato alla Russia una garanzia che la Nato non si sarebbe estesa fino ai suoi confini.
MARCELLO MUSTO: Dall’inizio della guerra, uno dei principali punti di discussione è stato il tipo di aiuto da fornire agli ucraini per difendersi dall’aggressione russa, ma senza creare le condizioni di una distruzione ancora maggiore in Ucraina e di un’espansione del conflitto a livello internazionale. Tra le questioni controverse degli ultimi mesi vi sono state la richiesta di Volodymyr Zelensky per l’imposizione di una no-fly zone sull’Ucraina, il grado delle sanzioni economiche da imporre alla Russia e, più significativamente, l’opportunità di inviare armi al governo ucraino. Quali sono, secondo voi, le decisioni da prendere per garantire il minor numero di vittime in Ucraina e prevenire un’ulteriore escalation?
MICHAEL LÖWY : Si potrebbero muovere molte critiche all’attuale Ucraina: la mancanza di democrazia, l’oppressione della minoranza di lingua russa, l’«occidentalismo» e molti altri. Ma non si può negare al popolo ucraino il diritto di difendersi dall’invasione russa del suo territorio nel brutale e criminale disprezzo del diritto delle nazioni all’autodeterminazione.
ÉTIENNE BALIBAR: Direi che la guerra degli ucraini contro l’invasione russa è una «guerra giusta», nel senso pieno del termine. So bene che si tratta di una categoria discutibile, e che la sua lunga storia in Occidente non è stata esente da manipolazioni e ipocrisie, o illusioni disastrose, ma non vedo altro termine appropriato. Ne approfitto, dunque, per precisare che una guerra «giusta» è quella in cui non basta riconoscere la legittimità di chi si difende dall’aggressione – criterio del diritto internazionale – ma è necessario prendere un impegno dalla loro parte. E che è una guerra in cui anche quelli, come me, per i quali tutte le guerre – o tutte le guerre oggi, allo stato attuale del mondo – sono inaccettabili o disastrose, non hanno la possibilità di rimanere passivi. Perché la conseguenza sarebbe ancora peggiore. Non provo quindi entusiasmo, ma scelgo: contro Putin.
MARCELLO MUSTO: Comprendo lo spirito di queste osservazioni, ma mi concentrerei maggiormente sulla necessità di scongiurare una deflagrazione generale e quindi sull’urgenza di raggiungere un accordo di pace. Più tempo ci vuole, maggiori sono i rischi di un’ulteriore espansione della guerra. Nessuno pensa di distogliere lo sguardo e ignorare ciò che sta accadendo in Ucraina. Ma dobbiamo renderci conto che quando è coinvolta una potenza nucleare come la Russia, senza un considerevole movimento per la pace attivo lì, è illusorio pensare che la guerra contro Putin possa essere «vinta».
ÉTIENNE BALIBAR: Ho una paura terribile dell’escalation militare, compresa quella nucleare. È terrificante e palesemente non esclusa. Ma il pacifismo non è un’opzione. L’esigenza immediata è aiutare gli ucraini a resistere. Non ricominciamo a giocare al «non intervento». L’Ue è comunque già coinvolta nella guerra. Anche se non sta inviando truppe, sta consegnando armi, e penso che sia giusto farlo. Questa è una forma di intervento.
MARCELLO MUSTO: Il 9 maggio l’amministrazione Biden ha approvato l’Ucraina Democracy Defense Lend-Lease Act del 2022: un pacchetto di oltre quaranta miliardi di dollari in aiuti militari e finanziari all’Ucraina. È una somma colossale, a cui vanno aggiunti gli aiuti di vari paesi dell’Ue, e sembra destinata a finanziare una guerra di lunga durata. Lo stesso Biden ha rafforzato questa impressione il 15 giugno, quando ha annunciato che gli Stati uniti avrebbero inviato aiuti militari per un ulteriore miliardo di dollari. Le forniture sempre maggiori di materiale da parte degli Stati uniti e della Nato incoraggiano Zelensky a continuare a rimandare i tanto necessari colloqui con il governo russo. Inoltre, dato il precedente storico di armi che erano state originariamente inviate in zone di guerra attive ma che molto tempo dopo sono state usate per scopi diversi, sembra ragionevole chiedersi se queste spedizioni serviranno solo a scacciare le forze russe dal territorio ucraino.
SILVIA FEDERICI: Penso che la mossa migliore sarebbe che gli Stati uniti e l’Ue dessero alla Russia la garanzia che l’Ucraina non aderisse alla Nato. Questo è stato promesso a Mikhail Gorbaciov al momento della caduta del muro di Berlino, sebbene non sia stato messo per iscritto. Sfortunatamente, non c’è interesse a cercare una soluzione. Molti nella struttura del potere politico e militare degli Stati uniti hanno sostenuto e preparato per anni un confronto con la Russia. E la guerra è ora strumentalmente usata per giustificare un enorme aumento dell’estrazione di petrolio e spazzare via ogni preoccupazione per il riscaldamento globale. Biden ha già rinunciato alla sua promessa in campagna elettorale di interrompere le trivellazioni nelle terre dei nativi americani. Stiamo anche assistendo a un trasferimento di miliardi di dollari al complesso industriale militare statunitense, che è uno dei principali vincitori di questa guerra. La pace non arriverà con un’escalation dei combattimenti.
MARCELLO MUSTO: Discutiamo delle reazioni della sinistra all’invasione russa. Alcune organizzazioni, sebbene solo una piccola minoranza, hanno commesso un grave errore politico rifiutandosi di condannare chiaramente l’«operazione militare speciale» della Russia, un errore che, tra l’altro, comporta che la denuncia di futuri atti di aggressione da parte della Nato, o di altri, apparirà meno credibile. Riflette una visione ideologicamente paralizzata che non è in grado di concepire la politica in modo tutt’altro che unidimensionale, come se tutte le questioni geopolitiche dovessero essere valutate esclusivamente in termini di tentativo di indebolire gli Stati uniti. Allo stesso tempo, troppi altri a sinistra hanno ceduto alla tentazione di diventare, direttamente o indirettamente, cobelligeranti in questa guerra. Non mi hanno sorpreso le posizioni dell’Internazionale socialista, dei Verdi in Germania o dei pochi rappresentanti progressisti del Partito democratico negli Stati uniti, nonostante le improvvise conversioni al militarismo da parte di persone che, proprio il giorno prima, si erano dichiarate pacifiste hanno sempre un suono squillante e stridente. Quello che ho in mente, piuttosto, sono molte forze della cosiddetta sinistra «radicale», che in queste settimane hanno perso ogni voce autonoma in mezzo al coro pro-Zelensky. Credo che, quando non si oppongono alla guerra, le forze progressiste perdano una parte essenziale della loro ragione di esistenza e finiscano per ingoiare l’ideologia del campo opposto.
MICHAEL LÖWY: Non è un caso che la grande maggioranza dei partiti di sinistra «radicale» mondiale, compresi anche i più nostalgici del socialismo sovietico, come i partiti comunisti di Grecia e Cile, abbiano condannato l’invasione russa dell’Ucraina. Sfortunatamente, in America Latina, importanti forze della sinistra, e governi come quello venezuelano, si sono schierati dalla parte di Putin, o si sono limitati a una sorta di posizione «neutrale» – come Luiz Inácio Lula da Silva, il leader del Pt in Brasile. La scelta per la sinistra è tra il diritto dei popoli all’autodeterminazione – come sosteneva Lenin – e il diritto degli imperi di invadere e tentare di annettere altri paesi. Non puoi sostenere entrambi, queste sono opzioni inconciliabili.
SILVIA FEDERICI: Negli Stati uniti, i portavoce dei movimenti per la giustizia sociale e le organizzazioni femministe come Code Pink hanno condannato l’aggressione russa. È stato notato, tuttavia, che la difesa della democrazia da parte degli Stati uniti e della Nato è piuttosto selettiva, considerando i loro precedenti in Afghanistan, Yemen e le operazioni di Africom nel Sahel. E l’elenco potrebbe continuare. L’ipocrisia della difesa della democrazia da parte degli Stati uniti in Ucraina è evidente anche se consideriamo il silenzio del governo statunitense di fronte alla brutale occupazione israeliana della Palestina e alla costante distruzione delle vite dei palestinesi. È stato anche notato che gli Stati uniti hanno aperto le porte agli ucraini dopo averle chiuse agli immigrati dall’America Latina, sebbene per molti la fuga dai loro paesi fosse anche una questione di vita o di morte. Quanto alla sinistra, è certamente un peccato che la sinistra istituzionale – a cominciare da Alexandria Ocasio-Cortez – abbia sostenuto l’invio di armi in Ucraina. Vorrei che i media radicali fossero più attenti riguardo a ciò che ci viene detto a livello istituzionale. Per esempio, perché «l’Africa sta morendo di fame» a causa della guerra in Ucraina? Quali politiche internazionali hanno reso i paesi africani dipendenti dai cereali ucraini? Perché non citare i massicci accaparramenti di terre per mano di compagnie internazionali, che hanno portato molti a parlare di una «nuova corsa per l’Africa»? Voglio chiedere, ancora una volta: le vite di chi hanno valore? E perché solo certe forme di morte suscitano indignazione?
MARCELLO MUSTO: Nonostante il maggiore sostegno alla Nato in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, dimostrato dalla richiesta formale di Finlandia e Svezia di aderire a questa organizzazione, è necessario impegnarsi maggiormente per garantire che l’opinione pubblica non veda la macchina da guerra più grande e aggressiva del mondo (la Nato) come soluzione ai problemi della sicurezza globale. In questa storia, la Nato ha dimostrato ancora una volta di essere un’organizzazione pericolosa, che, nella sua spinta all’espansione e al dominio unipolare, serve ad alimentare le tensioni che portano alla guerra in tutto il mondo. Tuttavia, c’è un paradosso. A quattro mesi dall’inizio di questa guerra, possiamo certamente affermare che Putin non solo ha sbagliato la sua strategia militare, ma ha anche finito per rafforzare – anche dal punto di vista del consenso internazionale – il nemico di cui voleva limitare la sfera di influenza: Nato.
ÉTIENNE BALIBAR: Sono tra quelli che pensano che la Nato avrebbe dovuto essere scomparsa alla fine della Guerra Fredda, contemporaneamente al Patto di Varsavia. Tuttavia, la Nato non aveva solo funzioni esterne, ma anche – forse principalmente – la funzione di disciplinare, per non dire addomesticare, il campo occidentale. Tutto ciò è certamente legato a un imperialismo: la Nato fa parte degli strumenti che garantiscono che l’Europa in senso lato non abbia un’autentica autonomia geopolitica rispetto all’impero Usa. È uno dei motivi per cui la Nato è stata mantenuta dopo la Guerra fredda. E, sono d’accordo, le conseguenze sono state disastrose per il mondo intero. La Nato ha consolidato diverse dittature nella propria sfera di influenza. Ha coperto – o tollerato – tutti i tipi di guerre, alcune delle quali orribilmente assassine e che coinvolgono crimini contro l’umanità. Ciò che sta accadendo in questo momento a causa della Russia non cambia la mi idea sulla Nato.
MICHAEL LÖWY: La Nato è un’organizzazione imperialista, dominata dagli Usa e responsabile di innumerevoli guerre di aggressione. Lo smantellamento di questo mostro politico-militare, generato dalla Guerra fredda, è un’esigenza fondamentale della democrazia. Il suo indebolimento negli ultimi anni ha portato Emmanuel Macron a dichiarare, nel 2019, che l’Alleanza era «clinicamente morta». Sfortunatamente, l’invasione criminale dell’Ucraina da parte della Russia ha resuscitato la Nato. Svezia e Finlandia hanno ora deciso di aderirvi. Le truppe statunitensi sono di stanza in Europa in gran numero. La Germania, che due anni fa ha rifiutato di ampliare il proprio budget militare nonostante le brutali pressioni di Donald Trump, ha recentemente deciso di investire cento miliardi di euro nel riarmo. Putin ha salvato la Nato dal suo lento declino, forse dalla scomparsa.
SILVIA FEDERICI: È preoccupante che la guerra della Russia contro l’Ucraina abbia prodotto una grande amnesia sull’espansionismo della Nato e sul suo sostegno alla politica imperialista dell’Ue e degli Stati uniti. È tempo di rinfrescarci la memoria sul bombardamento della Jugoslavia da parte della Nato, sul suo ruolo in Iraq e sulla sua guida nel bombardamento e nella disintegrazione della Libia. Gli esempi del totale e fondativo disprezzo della Nato per quella democrazia che ora pretende di difendere sono troppi per essere contati. Non credo che la Nato fosse moribonda prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Al contrario. La sua marcia attraverso l’Europa orientale e la sua presenza in Africa dimostrano il contrario.
MARCELLO MUSTO: Questa amnesia sembra aver colpito molte forze della sinistra al governo. Capovolgendo i suoi principi storici, la maggioranza parlamentare dell’Alleanza di sinistra in Finlandia ha recentemente votato a favore dell’adesione alla Nato. In Spagna, gran parte di Unidas Podemos si è unito al coro dell’intero spettro parlamentare a favore dell’invio di armi all’esercito ucraino e ha sostenuto l’enorme aumento delle spese militari. Se un partito non ha il coraggio di parlare ad alta voce contro tali politiche, dà il proprio contributo all’espansione del militarismo statunitense in Europa. Tale condotta politica subalterna ha punito molte volte in passato i partiti di sinistra, anche alle urne, non appena se ne è presentata l’occasione.
ÉTIENNE BALIBAR: La cosa migliore sarebbe che l’Europa fosse abbastanza forte da proteggere il proprio territorio e che ci fosse un efficace sistema di sicurezza internazionale, cioè che l’Onu venisse riformata in senso democratico e liberata dal diritto di veto dei membri permanenti il Consiglio di Sicurezza. Ma più la Nato cresce come sistema di sicurezza, più le Nazioni Unite declinano. In Kosovo, in Libia e, soprattutto nel 2013, in Iraq, l’obiettivo degli Stati uniti e della Nato sulla sua scia è stato quello di degradare le capacità delle Nazioni Unite di mediazione, regolamentazione e giustizia internazionale.
MARCELLO MUSTO: Concludiamo con quello che secondo voi sarà il corso della guerra e quali sono i possibili scenari futuri.
ÉTIENNE BALIBAR: Si può solo essere terribilmente pessimisti sugli sviluppi a venire. Io credo che le possibilità di evitare il disastro siano molto remote. Ci sono almeno tre ragioni per questo. In primo luogo, l’escalation è probabile, soprattutto se la resistenza all’invasione riesce a proseguire; e non può fermarsi alle armi «convenzionali», il cui confine con le «armi di distruzione di massa» è diventato molto confuso. In secondo luogo, se la guerra finisce con un «risultato», sarà disastroso in ogni caso. Di certo, sarà disastroso se Putin raggiungerà i suoi obiettivi schiacciando il popolo ucraino e attraverso l’incoraggiamento che questo dà per imprese simili; o, anche, se viene costretto a fermarsi e indietreggiare, con un ritorno alla politica dei blocchi in cui il mondo sarà poi congelato. Ciascuno di questi esiti porterà una riacutizzazione di nazionalismo e odio che durerà a lungo. In terzo luogo, la guerra, e le sue conseguenze, frenano la mobilitazione del pianeta contro la catastrofe climatica: in effetti, aiutano a farla precipitare ed è già stato sprecato troppo tempo.
MICHAEL LÖWY: Condivido queste preoccupazioni, soprattutto per quanto riguarda il ritardo nella lotta al cambiamento climatico, ora totalmente messo in secondo piano dalla corsa agli armamenti di tutti i paesi interessati dalla guerra.
SILVIA FEDERICI: Anch’io sono pessimista. Gli Stati uniti e gli altri paesi della Nato non hanno alcuna intenzione di assicurare alla Russia che la Nato non estenderà la sua portata ai confini della Russia. Pertanto, la guerra continuerà con conseguenze disastrose per Ucraina, Russia e oltre. Vedremo nei prossimi mesi come saranno colpiti gli altri paesi europei. Non riesco a immaginare scenari futuri se non l’estensione dello stato di guerra permanente che è già una realtà in tante parti del mondo e, ancora una volta, la distrazione delle risorse tanto necessarie per sostenere la riproduzione sociale verso fini distruttivi. Mi fa male il fatto che non abbiamo un forte movimento femminista che scende in piazza, in sciopero, determinato a porre fine a tutte le guerre.
MARCELLO MUSTO: Anch’io sento che la guerra non si fermerà presto. Una pace «imperfetta» ma immediata sarebbe senz’altro preferibile al prolungamento delle ostilità, ma troppe forze in campo stanno lavorando per un esito diverso. Ogni volta che un capo di stato dichiara «sosterremo l’Ucraina fino a quando non sarà vittoriosa», la prospettiva di negoziati si allontana ulteriormente. Eppure penso che sia più probabile che ci stiamo dirigendo verso una prosecuzione indefinita della guerra, con le truppe russe che affrontano un esercito ucraino rifornito e indirettamente sostenuto dalla Nato. La sinistra dovrebbe lottare strenuamente per una soluzione diplomatica e contro l’aumento della spesa militare, il cui costo ricadrà sul mondo del lavoro e porterà a un’ulteriore crisi economica e sociale. A queste condizioni ne guadagneranno i partiti di estrema destra che imprimono il loro marchio nel dibattito politico europeo in maniera sempre più aggressiva e reazionaria.
ÉTIENNE BALIBAR: Per proporre prospettive positive, il nostro obiettivo dovrebbe essere una ricomposizione dell’Europa, nell’interesse dei russi, degli ucraini e nostri, in modo tale che la questione delle nazioni e delle nazionalità venga completamente ripensata. Un obiettivo ancora più ambizioso sarebbe inventare e sviluppare una Grande Europa multilingue e multiculturale aperta al mondo, invece di fare della militarizzazione dell’Unione europea, per quanto inevitabile possa sembrare a breve termine, il significato del nostro futuro. Lo scopo sarebbe quello di evitare lo «scontro di civiltà» di cui altrimenti saremmo l’epicentro.
MICHAEL LÖWY: Per proporre un obiettivo più ambizioso, in termini positivi, direi che dovremmo immaginare un’altra Europa e un’altra Russia, sbarazzate delle loro oligarchie parassitarie capitaliste. La massima di Jean Jaurès «il capitalismo porta la guerra come la nuvola porta la tempesta» è più attuale che mai. Solo in un’altra Europa, dall’Atlantico agli Urali, postcapitalista, sociale ed ecologica, la pace e la giustizia possono essere assicurate. È uno scenario possibile? Dipende da ognuno di noi.
*Étienne Balibar è presidente dell’anniversario di filosofia europea contemporanea alla Kingston University di Londra. Silvia Federici è professoressa emerita di Filosofia politica all’Università Hofstra. Michael Löwy è direttore di ricerca emerito presso il National Center for Scientific Research. Marcello Musto è autore di Ripensare Marx e i marxismi. Studi e saggi (Carocci, 2011), L’ultimo Marx, 1881-1883. Saggio di biografia intellettuale (Donzelli, 2016), Another Marx: Early Manuscripts to the International (Bloomsbury 2018) e Karl Marx. Biografia intellettuale e politica, 1857-1883 (Einaudi, 2018). Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.