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1 Novembre 2024l’intervista a Telmo Pievani
di Danilo Ceccarelli
«Quello che oggi impressiona maggiormente l’opinione pubblica è il danno economico causato dal riscaldamento globale». Per questo secondo Telmo Pievani, professore di Filosofia delle Scienze biologiche all’Università di Padova, i temi ambientali stanno assumendo un posto sempre più importante nel dibattito pubblico. «C’è un cambiamento in corso», afferma il filosofo evoluzionista, sottolineando l’importanza di riconoscere ed affrontare il problema senza considerarlo ogni volta come un’eccezione o una casualità
Professor Pievani, possiamo affermare che quanto è accaduto a Valencia sia il risultato dei cambiamenti climatici?
«L’evento singolo ha sempre le sue ragioni specifiche, ma il riscaldamento climatico ne aumenta le probabilità rendendoli più violenti, come è avvenuto in Spagna».
Sta di fatto che in questi anni sembrano verificarsi sempre più disastri ambientali.
«La situazione sta cambiando. Oggi constatiamo che i modelli climatici fatti dai miei colleghi una decina di anni fa sono troppo prudenti e questa non è una buona notizia. Noi abbiamo lo stesso problema della Spagna: il Mediterraneo diventa sempre più caldo e accumula un’energia pazzesca. Quando arriva una perturbazione e si crea il differenziale tra la pressione alta e quella bassa, tra l’aria calda e quella fredda, si scatenano le precipitazioni che possono provocare un disastro. È come una pentola d’acqua bollente che può esplodere quando meno te lo aspetti. Poi i due Paesi hanno in comune una desertificazione che avanza, soprattutto in Andalusia e nel nostro Meridione. Questo è un altro fenomeno dovuto al riscaldamento climatico. Il mare sta salendo e l’acqua salata si infiltra nelle falde e rende sterili i terreni».
Quindi una tragedia come quella di Valencia potrebbe avvenire anche in Italia?
«Sicuramente».
Come ci si abitua a un simile scenario?
«Lo abbiamo visto con le alluvioni in Romagna. La prima volta è stato considerato come un fatto raro, ma dopo il ripertersi del fenomeno sappiamo che potrebbe ancora succedere. È una nuova normalità».
Che comporta un adattamento da parte della società.
«Mi ha colpito il fatto che recentemente in Italia siano state usate due parole fino a poco tempo fa considerate tabù. La prima è “assicurazione”. Una volta non c’era una copertura per gli eventi eccezionali, ma adesso che cosa significa questa espressione se c’è un’alluvione all’anno? Lo Stato dovrà intervenire in qualche modo. Poi c’è il termine “dislocamenti”. Questo vuol dire che anche in Italia, come avviene già in altri Paesi, molte persone dovranno lasciare il posto in cui vivono».
È possibile giocare d’anticipo per evitare certe tragedie?
«Lo scorso anno la rivista scientifica Science ha pubblicato uno studio che dimostra come gli interventi preventivi costino un ventesimo rispetto ai lavori necessari per riparare i danni di una catastrofe. Dobbiamo quindi smetterla di affrontare il problema ogni volta come un’emergenza».
L’Unione europea sembra essere corsa ai ripari in questi ultimi anni.
«Prima delle elezioni di giugno l’Ue era l’entità internazionale e geopolitica più all’avanguardia nel capo delle legislazioni ambientali. Con la nuova Commissione c’è stato un raffreddamento delle politiche del Green Deal».
Ora stiamo vedendo anche l’impatto economico della transizione energetica sulla popolazione europea. Un esempio è lo stop nel 2035 alle auto benzina e diesel.
«Adesso bisogna investire, come accade sempre nelle transizioni che seguono una crisi. In questo modo si risparmierà di più dopo. Io sono d’accordo con chi dice che la regolamentazione sull’auto elettrica è troppo drastica. Le domande da porre però, sono due. La prima, giustissima, su chi paga. La seconda riguarda invece chi pagherà se non agiremo. Saranno i nostri figli e i Paesi più poveri, che hanno contribuito meno allo sviluppo del problema».
Ma come bisogna agire?
«Le tassazioni secche sono molto impopolari. Lo abbiamo visto con le proteste dei gilet gialli in Francia (esplose dopo i rincari del carburante, ndr) e in Germania, dove i Verdi sono crollati a causa della sciagurata legge sulle caldaie. La grande difficoltà per i progressisti e i Verdi d’Europa sta nel trovare il modo di far capire il senso di questi interventi, in modo che vengano accettati».
Eppure, c’è chi continua ad affermare che il problema non esiste.
«Secondo uno studio condotto dal network dei giornalisti indipendenti americani, il negazionismo sta evolvendo. Una volta negava l’evidenza sostenendo che il riscaldamento climatico non esiste, mentre oggi ha cambiato argomenti. Donald Trump, per esempio, ripete in ogni comizio della sua campagna elettorale che gente come Elon Musk troverà delle soluzioni per tirarci fuori dai guai. È una nuova retorica utilizzata soprattutto dalle destre conservatrici ma è pericolosissima perché non è detto che troveremo un rimedio che ci salverà.