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1 Novembre 2024Crediti Mps, Consob responsabile civile
1 Novembre 2024RISCOPERTE
Pubblicati per la prima volta i testi scritti tra 1939 e 1950 dal pensatore e filologo, figura fondamentale della cultura italiana del secondo Novecento In queste pagine emergono già alcuni temi fondamentali come l’attenzione a Nietzsche e ai sapienti antichi, finalmente sganciati dall’etichetta di presocratici
«Ora la tragedia sta per finire. La vita nuova comincia. Ma abbiamo perso la guerra – la più nefasta. Non si tratta di programmi politici, si tratta di acquistare una maturità politica. (…) Non ci si deve gettare dietro bandiere ma pensare e giudicare teorie e uomini per poi scegliere liberamente una strada politica» scrive il 25 luglio del 1944, nel suo Diario dall’esilio, l’allora ventisettenne Giorgio Colli. Sono righe che vibrano in consonanza con quanto aveva già annotato in un altro testo, Appunti critici sui presocratici, risalente agli anni che corrono tra il 1938 al 1940. « Platone – ammonisce il filosofo –, dopo la morte di Socrate, rinuncia alla politica». Sono alcuni dei testi giovanili inediti di Colli che vengono ora pubblicati per la prima volta in Interiorità ed espressione (pagine 202, euro 24,00), il volume che esce per l’editore Neri Pozza con la curatela di Maicol Cutrì e Luca Torrente e corredato da un’avvertenza introduttiva di Giorgio Agamben.
Quelli raccolti nel volume in uscita da domani, sono testi che consentono di cogliere il gemmare del pensiero maturo di un autore come Giorgio Colli, definito da Agamben «uno dei maestri della cultura italiana del Novecento». E mai definizione fu più adatta per identificarne il suo profilo intellettuale, dal momento che permette di tenere unita in una cornice coerente l’insieme delle attività intellettuali di Giorgio Colli. Ridurlo a semplice filologo sarebbe limitante, considerando l’imponente attività editoriale e organizzativa di cui Colli, nel corso della sua vita, si è fatto carico. Come sarebbe semplicistico ritenerlo soltanto uno dei grandi autori della filosofia italiana. E questo perché la sua opera, in ambito teoretico, è rimasta spesso in ombra rispetto agli altri campi di intervento, un po’ perché disallineata rispetto alle tendenze culturali in voga nella seconda metà del secolo scorso e un po’ perché non così imponente, da un punto di vista quantitativo. E questo vale, però, se si considerano i suoi sforzi filosofici separati dall’attività editoriale e di traduzione. Infatti filologia, lavoro editoriale e filosofia si rispecchiano l’una nell’altra in Colli, componendo delle diverse sfaccettature di uno stesso cammino di ricerca, che per compiersi necessitava del connubio tra filosofia, filologia e consulenza editoriale. Per chi se lo fosse dimenticato o magari non lo sapesse, Giorgio Colli ha impresso non solo una forte innovazione alla cultura italiana dirigendo, presso l’editore Boringhieri, la collana “Enciclopedia di autori classici” e proponendo novanta titoli, molti dei quali resi disponibili in traduzione per la prima volta e soprattutto a un costo accessibile. Ma il suo nome troneggia, a fianco di Mazzino Montinari, per aver condotto l’impresa titanica di realizzare una nuova edizione critica delle opere di Friedrich Nietzsche, per Adelphi. Accanto a questo sforzo, portato a conclusione, ne aveva accarezzato un altro, forse ancora più ambizioso. Proporre una nuova edizione dei primi pensatori greci riconoscendo a loro un’autentica autonomia teorica ed evitando così che si considerassero alla stregua di semplici precursori di Socrate. Da qui l’idea di raccogliere i loro frammenti in un’opera prevista in undici volumi dedicata a La sapienza greca. Purtroppo, a causa della prematura scomparsa, avvenuta nel 1979, solo due (più un terzo postumo e in parte incompleto) hanno avuto modo di vedere la luce, modificando lo sguardo del lettore su quelle aurorali espressioni di pensiero. Se della nuova interpretazione dei primi sapienti greci, il lettore italiano, ha avuto almeno un assaggio, della progettata Enciclopedia dell’antichità classica, ideata inizialmente in venticinque volumi, non rimane che il titolo, dal momento che non ha mai trovato un editore disposto ad accoglierla nel proprio catalogo. Se il lavoro filologico sul Solitario di Sils Maria e la fatica interpretativa rivolta ai sapienti greci sono manifestazione della sua maturità intellettuale, non si può certo sostenere che i protagonisti di quelle avventure del pensiero siano un interesse tardo. Lo confermano proprio i testi raccolti in Interiorità ed espressione, redatti in un arco di tempo che va dal 1936 al 1950. Fanno capolino, già in questi primi scritti, oltre ai riferimenti a Nietzsche e Eraclito, temi e argomenti che saranno al cuore della riflessione matura. Il riferimento alla concretezza come incontro tra soggetto e oggetto e il primato della vissutezza (così rende il tedesco Erlebnis) sul pensiero astratto cominciano a delineare i tratti del lavoro sul tema dell’espressione. Espressione non va intesa, neppure lontanamente, in guisa di comunicazione, come precisa Agamben, perché «la conoscenza non è soltanto rappresentazione, ma espressione di una immediatezza extrarappresentativa», che non è comunicabile.
A fianco di tracce della riflessione futura, si intravede negli scritti giovanili anche una marcata soluzione di continuità. A differenziarli rispetto agli scritti tardi, oltre alla maggiore consapevolezza teoretica, è il distacco dalla dimensione politica, che all’epoca ancora, di tanto in tanto faceva ancora capolino, sia in riferimento al misticismo sia alla sua esperienza personale. Col passare del tempo questo questi riferimenti evaporano. E lo si vede chiaramente in Piano per un libro risalente al 1950. Non che prima, tranne qualche considerazione critica nei confronti fascismo, si scoprissero argometazioni particolarmente engagé. Ma a partire dalla metà del secolo alle spalle la separazione tra filosofia e politica diventa dichiarata. « A prescindere dalla cultura, l’individuo non può esplicarsi politicamente – scrive Colli –. Si è raggiunto il Leviathan. Irrigidimento della politica: sua mancanza di fantasia e tendenza all’immutabilità. Conservazione della religione (o di un suo travestimento) nella politica». Sono, come si vede, appunti che suggellano il divorzio dalla politica. Una rinuncia che fa leva su elementi di Kulturkritik.
« Rivolta delle masse allo stato endemico – continua Colli –. Allargamento dell’educazione alle masse: presunzione, confusione intellettuale. Dispersione dei valori culturali, vivere comodo e afflosciamento, perdita di ogni senso aristocratico». E prosegue con riferimenti espliciti al mondo contemporaneo. « Forme spurie di civiltà: sport, cinema. Noia e fretta. Centralità del problema sessuale. Ricerca di distrazioni. Collasso del sistema nervoso per eccesso di stimoli. Impossibilità di dominare un’esperienza troppo ampia – frammentazioni». E ancora: «Classi dominanti senza educazione e quindi improduttive di cultura. L’uomo superiore destinato a sommergersi. Grande possibilità di interiorità che non trova più possibilità di espressione». Parole appuntate su appena cinque fogli che però annunciano già la sfida teoretica, e vitale, che Giorgio Colli avrebbe intrapreso con il suo opus magnum, Filosofia dell’espressione, e con la cura delle opere di Freidrich Nietzsche e la risistemazione dei Sapienti greci.