Ma c’è una cosa nuova, ora: e gravissima. Se finora la politica ha usato le mostre come intrattenimento, come volano di consenso, lo fatto senza minimamente curarsi dei contenuti (delegati a un sottobosco di curatori di professione o, nel migliore dei casi, a veri ricercatori): ora la Destra ha iniziato a utilizzare le mostre come strumento di legittimazione e propaganda ideologica. Se si trattasse delle libere scelte di curatori, studiosi, ricercatori il cui essere “di destra” legittimamente orientasse i loro progetti scientifici (senza minarne appunto la scientificità), ci sarebbe solo da misurare (con profonda tristezza) la distanza di una simile coscienza politica rispetto al vuoto ideologico di una “sinistra” semplicemente succube del pensiero unico liberista per cui le mostre erano solo bigliettazione, e riempimento di cartelloni ‘culturali’.
Perché questo è il tragicomico equivoco sulla “egemonia culturale della sinistra”: che da almeno trent’anni semplicemente non esiste, sostituita da un generale e sordo ossequio al mercato. Ma Report ha raccontato qualcosa di diverso, e cioè che il livello politico del Ministero della Cultura (con lo stesso ministro Sangiuliano) è intervenuto nella scelta di curatori, collaboratori, opere in prestito. E questo è clamorosamente illegittimo, e senza precedenti: almeno in una democrazia moderna (forse lo fa Kim Jong-un in Corea del Nord…). Il Ministero della Cultura è ministero per eccellenza tecnico, che vede direttori generali che sono non alti burocrati intercambiabili con altre amministrazioni, ma ricercatori delle varie discipline (storia dell’arte, archeologia, archivistica…), e che fonda decisioni cruciali sul parere dei comitati tecnico-scientifici (ora messi gravemente a rischio da una riforma ancora non attuata, e che spero il ministro Giuli vorrà riconsiderare).
Le mostre stesse, come i musei, sono dotate di comitati scientifici, e hanno un progetto scientifico: laddove (in un caso come quello di una mostra sul Futurismo) la scienza è la storia dell’arte contemporanea (che ha un proprio settore scientifico-disciplinare nell’università). Esattamente come il ministro della Salute, il presidente di una Commissione parlamentare sulla Salute o un membro della maggioranza di governo non può entrare col bisturi in sala operatoria, così il ministro della Cultura, il presidente della Commissione Cultura o un qualunque politico non può e non deve decidere tema, articolazione, curatore e opere esposte in una mostra. “L’arte e la scienza sono libere, e libero ne è l’insegnamento”, dice la Costituzione: per evitare esattamente questo, cioè un’arte e una scienza di Stato in mano alla maggioranza politica di turno. Una decisione presa dai costituenti in frontale opposizione al Ventennio fascista, e alla sua politica culturale di regime. Quando il presidente della Commissione Cultura Mollicone dice: “non ho incontrato Mazzantini e Merlino insieme a Russo per parlare della mostra, chi ve lo ha detto?, non è vero. Fermo restando che non c’è niente di male, sono il presidente della Commissione Cultura, vigilante su musei, mostre e rientrerebbe nei miei compiti. Non ci sarebbe niente di male”, dice una enormità.
La vigilanza è esattamente il contrario di una invasione del campo tecnico, di una commistione con ciò di cui si dovrebbe vigilare proprio l’indipendenza, e l’assoluta libertà scientifica. Il totalitarismo non è solo quello che riguarda il governo politico, è anche quello che allinea tutta la vita pubblica (e anche quella privata, come si è visto nel caso Spano…) alle idee di chi comanda, in disprezzo di scienza e libertà. Nel silenzio tombale dei liberali “de noantri” che cantano ogni giorno le lodi di Giorgia Meloni, anche attraverso il controllo politico-ideologico delle mostre finanziate coi soldi pubblici perdiamo un altro pezzetto dello Stato di diritto, e della nostra libertà. In attesa di guai peggiori.